Eredità slava e mitteleuropea maturata e sbocciata a Gorizia, alle porte del Mediterraneo. Sapienza e istinto cresciuti nella musica di mondi diversi quindi, ma fratelli nell’abbraccio di quel suono che è forma primigenia di comunicazione e manifestazione delle emozioni, oltre e prima della parola. Idea sottolineata dai due minuti di silenzio prima dell’inizio del concerto dell’11 aprile al Teatro Argentina, chiesti dall’artista per permettere al pubblico di riconnettersi con se stesso e la musica, liberandosi del troppo rumore che travolge i nostri tempi.
Ricongiungersi alla melodia attraverso l’assenza di parola. Un momento, anzi, due minuti di riflessione, di pausa interiore, per estraniarsi dal chiasso che ci sovrasta. Inizia così, con un piccolo appello agli amanti dell’arte del teatro Argentina, accorsi per l’esibizione di Alexander Gadjiev al pianoforte nella splendida serata dell’11 aprile. Abbandonarsi al fluire della bellezza dimenticando tutto il resto. Gadjiev è una stella emergente del panorama musicale internazionale e un grande artista italiano con radici sia slave che mitteleuropee. Nato nel 1994 a Gorizia da una famiglia di musicisti, papà azero e mamma slovena, è cresciuto assorbendo naturalmente lo spirito d’incontro tra culture diverse ma non lontane, riuscendo a plasmare un proprio stile e linguaggio musicale.
Era molto atteso questo debutto all’Accademia Filarmonica Romana, sul palco del Teatro Argentina, con un programma ricco di sfumature e stili, legati assieme dal talento e dalla personalità del musicista goriziano. Da Cesar Franck, tra Bach e le armonie ottocentesche con la Fuga, il Preludio e le Variazioni, alle atmosfere romantiche, intimistiche ed introspettive di Fryderyk Chopin, particolarmente amato da Gadjiev. Fino ad Aleksandr Skrjabin e la sua Messa nera che, tuttavia, non ebbe nulla di demoniaco ma piuttosto la contemplazione di quella dimensione di lamento e tormento da considerare quasi condizione necessaria per indagare sulle grandi inquietudini esistenziali.
Per giungere, infine, a Modest Musorgskij con i Quadri di un’esposizione, composti nel 1874, di cui Gadjiev, dialogando con Valerio Sebastiani, dice: “Sono dei veri e propri gironi infernali nei quali vengono affrontate tematiche basse, grottesche, nude, crude, ma anche spirituali. Ogni tema di Musorgskij ha una caratteristica umana, corporea. Chopin lo potremmo associare ad un mondo più lirico, più leopardiano, Musorgskij è proprio dantesco”. E poi conclude: “Per i Quadri mi verrebbe in mente la definizione di musica atavica, primordiale, oppure “Divina Commedia dello spirito russo”.
Non sono mancati poi diversi bis, concessi dopo l’esecuzione dell’ultimo brano in programma, che hanno ulteriormente arricchito un’esibizione già straordinaria. Una serata che non ha tradito le attese, dunque, con un concerto che ha regalato prima il silenzio, dono tanto inaspettato quanto pregiato di questi tempi, e poi musica sublime che unisce est ed ovest attraverso un grande artista.