Ibsen, Serra e Orsini. Un triumvirato vincente all’Eliseo

Ibsen, Serra e Orsini. Un triumvirato vincente all’Eliseo

di Giuseppe Menzo

È andata in scena martedì 3 marzo presso il Teatro Eliseo di Roma, prima della sospensione delle attività teatrali e non legata alle nuove disposizioni ministeriali in materia di sanità pubblica, la prima dello spettacolo Il costruttore Solness da Henrik Ibsen, diretto da Alessandro Serra con Umberto Orsini e Lucia Lavia, Renata Palminiello, Pietro Micci, Chiara Degani, Salvo Drago e con Flavio Bonacci.

Su un palco dominato da scenografie imponenti che disegnano, allargandosi e restringendosi alla bisogna, tutti gli ambienti scenici dello spettacolo, sotto luci che ammantano la rappresentazione di un’atmosfera gravida di cupezza, hanno luogo le vicende del costruttore del titolo al quale il M° Orsini regala note dolenti e regali, venate allo stesso tempo da un furore passionale e da una lucida razionalità di un uomo intorno al quale si muove un intero universo a lui direttamente subordinato.

Dalla elegante segretaria Kaja interpretata da una Chiara Degani che calza perfettamente i panni della donna travolta dal sentimento verso la stella più luminosa di questa storia, al determinato e rabbioso Ragnar di un Salvo Drago energico, fino ad arrivare alla Hilde sovvertitrice di schemi e desiderosa di vita di una Lucia Lavia tanto luminosa quanto sagaciamente spontanea, tutti i personaggi sono mossi da attori sicuri, compìti e ben indirizzati da un regista che dirige come un direttore d’orchestra.

La rappresentazione procede inarrestabile, solida, imperiosa, piena, con una densità emotiva che riempie uno spazio essenzialmente vuoto. La scena è animata dai corpi e dalle corde emotive di personaggi tragicamente succubi di vite imperfette, insoddisfacenti, dolorose nei loro andamenti contrari ai singoli desideri di ciascuno di loro.

È un teatro di regia quello di Alessandro Serra che racchiude in un meccanismo ad orologeria i propri attori che, così costretti, restituiscono un profondo senso di claustrofobia.

Alle ampiezze dichiarate di progetti architettonici che puntano al cielo – tra torri, chiese e campanili – si contrappongono gli angusti luoghi dell’anima di uomini e donne tormentati e senza felicità.

È un dramma senza orpelli quello di Ibsen degnamente restituito in una chiave all’apparenza povera ed invece efficacissima.

Un dramma, un allestimento, uno spettacolo che, seppur nelle sue note cupe, ci lascia la voglia di tornare, quando tutto quello che stiamo attualmente vivendo sarà solamente un brutto ricordo, a vedere e vivere il Teatro, la Cultura e L’Arte.

 È un arrivederci a presto questo, sicuri che ricominceremo a godere di tutto il prima possibile.

 

 

 

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