Roma è una città definibile con un milione di aggettivi e quindi indefinibile. Partirei da questo presupposto per parlare di uno spazio teatrale, apparentemente fuori dal circuito più ricco e conosciuto, che nell’arco di questa stagione sta offrendo una proposta artistica che coniuga forza e novità, capacità e freschezza, divertimento e riflessioni.
Di Giuseppe Menzo
Partirei da queste parole per raccontare dell’ennesimo bello spettacolo che il “Teatro Le Maschere” ha accolto tra le sue mura dal 2 al 7 novembre. Questo articolo arriva in apparente ritardo rispetto alla messa in scena del lavoro che ha in oggetto, e ossia Bolle di sapone– scritto e diretto da Lorenzo Collalti ed interpretato dai bravissimi Grazia Capraro e Daniele Paoloni, ma, avendo come scopo quello di aprire una riflessione sullo stesso Teatro in questione e sulle sue “Parole Appassionate” che finora ne hanno abitato le tavole, spero che chi leggerà possa interessarsi non solo alla mia valutazione sul lavoro che andrò a recensire, ma anche al discorso più ampio che in quel di Trastevere si sta portando avanti.
Terzo appuntamento di 4 della Rassegna Nuove Drammaturgie- Incontri, lo spettacolo di Collalti, nome sì giovane ma ormai conosciuto nell’ambiente teatrale capitolino, è intelligente, divertente, originale e “corretto”. Il Regista/Drammaturgo proveniente dall’Accademia Nazionale Silvio D’amico sa il fatto suo. Mette in scena, coadiuvato da due interpreti disponibili ed umili, uno scorcio esistenziale preciso a partire dall’omissione di dati sensibili più o meno importanti.
Vuole rimanere anonima la città metropolitana nella quale il testo è ambientato, sono senza nome i personaggi della storia, i cui ingressi in scena hanno echi pirandelliani non indifferenti (consiglio sempre di rileggere una volta l’anno I sei personaggi del Nobel girgentino), e restano sospesi molti altri dettagli dei quali, pensandoci, nella vita normale potremmo idealmente pure fare a meno.
Riguardo lo spettacolo, anche evitando di far sfoggio di citazioni scespiriane che galleggiano nell’humus raccontato- “Cosa c’è in un nome? Ciò che chiamiamo rosa anche con un altro nome conserva sempre il suo profumo” -, si può sostenere con convinzione che il risultato del lavoro visto in scena è di notevole fattura e che si inserisce perfettamente nel contesto artistico della Rassegna nata in quel di Calenzano e che lo spazio sopracitato ha mutuato nella Città Eterna.
Ed è proprio da questa decisione di trasferire nel Lazio questa bella attività ideata da Aldo Allegrini e coprodotta da “Khora Teatro” e dalla compagnia Mauri Sturno che intende prendere il via, da oggi per il prosieguo della stagione, la mia riflessione sull’operato de “Le Maschere”. Queste mie vogliono apparire come l’antipasto dell’appetibile banchetto che ci si aspetta nel resto dei mesi, a partire già dal prossimo appuntamento “MOMO e la città senza nome” dal 30 novembre.
Quindi arrivederci a presto con le prossime portate.