Parola di Giciemme: L?ETERNO FEMMININO, L?ETERNO MASCOLINO. UN DESTINO IN MASCHERA?

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(7.11.09) Maschile e femminile:  appunti di attualità sulle trasformazioni simbolico/sessuali di cui ci parla la cronaca (“nera” o "politica" che sia non importa, è spesso la stessa cosa). Forgiati nel tempo da una attribuzione di  ruoli e funzioni in larga misura geneticamente necessitati ed ereditati, con l’ampio e annesso corredo di specializzazioni, rigidità e fissazioni, maschio e femmina sembrano  faticare nell’evolvere verso l’approdo di figure di uomo e donna che si connettono e incontrano. Cosa possiamo imparare (o disimparare) dagli ultimi eventi
 di Gian Carlo Marchesini
 
Perché le donne si truccano? Perché si tingono, si imbellettano, si fasciano e stringono fino a farsi male, innalzandosi per meglio dondolare a colpi di impegnativi e dolorosi tacchi a spillo? Perché alterano i loro connotati e si mascherano? Perché sentono il bisogno di sembrare diverse, di apparire sempre giovani e belle: non è anche questa una forma di artificio, dissimulazione e menzogna? Quanto questa sistematica alterazione delle forme e dei connotati, delle apparenze e delle sembianze, influenza, si trasmette, contagia, come risultato, anche la mentalità, il modo di essere, di pensare, di relazionarsi a sé stesse, agli altri, al mondo?
Se le donne sono tranquille sulla loro appartenenza a una  identità di genere, se la vivono a loro agio, perché sentono il bisogno di rafforzarla con espedienti e artifici, con tinte e protesi, supporti e cornici? Personalizzare, valorizzare, dotarsi  di  un gradevole appeal è cosa per tutte e tutti lecita e comprensibile: ma quanto la cura del corpo e del viso, un programmatico correggersi e modificarsi sono invece frutto di una coazione all’obbligo di piacere che poco ha a che fare con il desiderio di stare a proprio agio nel mondo?

 
Perché una donna – non tutte, ovviamente, ma un loro numero prevalente – impiega un'ora o più, prima di uscire da casa, a curarsi, sistemarsi, truccarsi, abbigliarsi, per poi camminare sul marciapiedi a occhi fissi davanti a sé o caparbiamente rivolti a terra, disdegnando quelli maschili per i quali si è imposta quel prolungato lavoro? In questa coazione alla recita e al teatro,  quanto c’è di natura e quanto di cultura, quanto di obbligo e quanto di libertà e reale autonomia? Perché la donna nasce con il destino segnato di dover piacere a tutti i costi, indiscriminatamente e a prescindere, per poi ritrarsi sdegnosamente come se avesse a che fare con una mentalità maschile insopportabilmente predona e mascalzona, che poi invece è lei stessa a  plasmare e a stuzzicare?
Dice: ma noi vogliamo sentirci libere di farci belle come ci pare e piace, di valorizzare la nostra femminilità senza dovere rendere conto a qualcuno, o sottostare a canoni e modelli dettati da altri.  Ma se una donna è persona gradevole in sé, perché autentica e spontanea, naturalmente capace di attirare lo sguardo e invogliare il contatto, capace di suscitare attenzione e desiderio allo scambio e alla relazione,  perché allora un così grande ricorso a creme e profumi, tinture e monili, accorgimenti e trucchi – per non parlare, in casi sempre più diffusi,  di siliconature e interventi chirurgici? Quando la donna  smetterà di giocare all’eterna sirenetta seduttiva, alla colorata, profumata e ammiccante trappola?  Certo, altrove c’è ben di peggio,  perfino la mutilazione ai genitali e il burqa: ma di qua non c’è troppo spesso un gran dispendio di dissimulazione, chirurgia e cosmetica? E se il maschio gay appare a volte del femminile maschera e caricatura stucchevole, l’immagine femminile in circolazione non è ancora  troppo spesso caricatura puerile rispetto a un soggetto femminile che si voglia indipendente, autonomo e libero?
E’ tutto ciò frutto di un destino biologico necessario – a garantire la perpetuazione della specie? –  o potrebbe anche essere arrivato il tempo, con grande sollievo delle donne per prime, di dedicare più tempo e risorse allo studio e al viaggio, alla lettura e al tempo libero, alle relazioni e all’impegno sociale e politico – e a un gioco di seduzione trans genere e meta sessuale meno vincolato a obblighi e aspettative, canoni e codici prestabiliti, più a bisogni e desideri autentici?
 
E perché gli uomini si alzano i tacchi, si gonfiano i muscoli, si tingono i capelli, si imbottiscono di conservanti, stimolanti, additivi? Perché si fanno la guerra per conquistare, espugnare, accrescere posizioni sempre più ampie di potere, cariche e incarichi, case e beni, risorse e mezzi ben oltre un ragionevole e sensato scopo di agio e benessere?  Perché diventano specialisti nell’uso del bastone  e della carota, del ricatto e della minaccia, della forza e delle mille tattiche e strategie di conquista, sottomissione, egemonia? Perché si ritengono maschi e virili solo in quanto capaci di comando, padroni dell’ altrui vita e morte? Perché, all’interno di questa univoca e ingessata concezione del mondo considerano la donna supporto e sigillo, bottino e premio per il riposo del guerriero?
Insomma, riattualizzando una domanda già sentita: donna – e uomo – si nasce, o si diventa? E nel modo attuale ancora così prevalente o dominante di diventarlo/a, quanto c’è in una persona adulta, maschio o femmina che sia, di libertà vera,  di autenticità vitale e viva?
Forgiati nel tempo da una attribuzione di  ruoli e funzioni in larga misura geneticamente necessitati ed ereditati, con l’ampio e annesso corredo di specializzazioni, rigidità e fissazioni, maschio e femmina sembrano  faticare nell’evolvere verso l’approdo di figure di uomo e donna che si connettono e incontrano come persone ricche e plurime,  attardandosi troppo spesso su posizioni di  ideologica e artefatta diversità.
 
Un immaginario/bestiario delle odierne figure del potere/godere in amore
Mentre le sorelle femministe, dagli anni Settanta sdegnosamente appartate, si esercitavano nell’ inneggiare alla incommensurabile superiorità della differenza e allo stupefacente  splendore dell’altra metà della luna, il centro della scena del desiderio sessuale maschile veniva nel frattempo occupato sostanzialmente da due figure:  la fanciulla Noemi,  plasmabile e funzionale al potere  cavernicolo assoluto del patriarca; l’altra, più duttile e meticcia, più aggiornata e prismatica, la Natalì trans brasiliana, incarnazione androgina dell’unità corporeo-simbolica – dal punto di vista maschile –  finalmente accessibile e compiutamente  fruibile.
La donna con il pene incarnata e proposta da un/a trans, integra e supera, infatti, sia il tradizionale e risaputo prisma di figure interpretate dalla, o attribuite alla donna  (madre e figlia, moglie e compagna, amante e puttana), sia la più recente figura di donna “mentalmente cazzuta e agguerrita” che è la femminista della differenza. Mentre quest’ultima (con il pene in testa)  si vuole ed è percepita come amazzone aggressiva e a volte perfino sadica e punitiva, la trans con il pene tra le gambe e i grandi seni traboccanti se da un lato provvidenzialmente si conferma come morbida e soffice, accogliente e materna, dall’altro consente il rassicurante rispecchiamento narciso, l’alter ego fraterno, il papà vigoroso e attivo a cui succhiare/sniffare per  attingere forza e linfa, e da cui  – se del caso, dal varco posteriore – farsi fare il pieno di potenza ed energia. Dopo la mareggiata femminista, e in questi tempi di destabilizzante e disorientante  crisi universale,  questo erotico/simbolico pacchetto di mischia sembra oggi proporsi con un glamour irresistibile.
 
Achille, restio e timoroso di guerre, si traveste e rifugia nel gineceo a tessere, cantare e amabilmente conversare. Stanato e costretto alle armi, si consola, per la soddisfazione dei suoi amorosi piaceri, con l’efebico e vigoroso Patroclo. L’Achille dei nostri giorni, stanco di guerre in casa, nel lavoro e nel vasto mondo, ma per nulla intenzionato a dimettere insegne e poteri, si rifugia tra le braccia di un Patroclo/a che per meglio rassicurarlo e compiacerlo ha incorporato – et voilà! –  parte sostanziale delle forme e funzioni femminili.   
Il catalogo e il mercato del nuovo immaginario erotico maschile si direbbe essere questo. Quanto poi ci sia di liberazione vera, di arricchimento in termini di libertà e uguaglianza, piuttosto che in rilancio di  ritorsioni e vendette, di dispetti e ripicche, di “tu mi vuoi fregare ma mò ti faccio vedere io”, insomma, di eterna guerra tra i sessi,  questo per capirlo bisogna forse aspettare qualche altra generazione.  
 
Certo che, a segnalare il travaglio dei mutamenti in corso, gli scricchiolii e i cigolii,  i bellicosi rulli di tamburi e gli spiazzanti colpi di scena sono effettivamente  impressionanti: ma la resistenza del maschio e il suo attaccamento se non alle forme, sicuramente al peso e agli spazi dell’antico potere, non sembrano cedere di un pollice. L’ascesa della figura del  trans, con lo sfarzoso e patetico contorno di polverine toniche  e ipertrofiche  rotondità materne, fa pensare a una operazione tattica di trasferimento e innesto della forma femminile nel glorioso e regale corpo maschile, uno sforzo di mantenere il pene e il suo multiforme potere  a perno e baricentro dell’universo intero.  Siamo al donno/uoma o, se volete,  al mammo/papi, al sorello/fratella furbescamente ibridati e mescolati al servizio del capo incontrastato:  che cosa non si fa per conservare integra l’illusione dello scettro!
 
Io mi confermo nel mio demone prediletto di auscultatore attento e osservatore affascinato di tanto tumultuosi (spesso falsi) movimenti e (spesso apparenti) trasformazioni. Se non conserveremo un qualche contatto forte con la dimensione  bambina di bisogni e desideri, con la loro primordiale e originaria linfa (io ti apprezzo e desidero e voglio perché per me tu sei scintilla di inebriante illuminazione, luce in un percorso di complicata e tormentata ma emozionante conoscenza: di me, di te, del mondo), i clamori della sfida e della mischia sulla conta e contesa femminil/femminista e maschil/maschilista dei piatti di lenticchie e dei diritti di primogenitura (viene prima l’uovo o la gallina?) non lasceranno scampo.

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