IRPEF E FAMIGLIA, COME SI PUO’ MIGLIORARE

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Alcune ragionevoli proposte per superare le iniquità del nuovo sistema
di Fernando Di Nicola

Negli ultimi anni siamo stati investiti da numerosi ritocchi e riforme dell’Irpef, un’imposta la cui funzione più peculiare dovrebbe essere quella di redistribuzione, cioè di attenuazione delle disparità tra i redditi che il mercato produrrebbe.
Se infatti l’art. 53 della Costituzione riserva all’intero sistema fiscale il compito di garantire la progressività dell’imposta, di fatto è l’Irpef che ha le caratteristiche migliori per assolvere questo compito; gli altri tributi appaiono in effetti proporzionali o regressivi, e risulta perciò ambiguo puntare su una forte riduzione della progressività dell’Irpef senza esplicitare che ciò  equivarrebbe all’abbandono del principio della progressività del sistema fiscale.
Con le riforme 2003 e 2005 ci sono state interessanti novità, apprezzabili anche per i redditi bassi, ma anche un aumento della complessità ed una troppo debole azione di sostegno per situazioni di disagio connesse al basso reddito e/o a forti carichi familiari.  A partire dai principali difetti dell’Irpef vigente, vediamo come si può intervenire con immediatezza senza stravolgere l’impianto esistente.

Tre limiti del sistema.  Accade oggi che chi è povero, e paga un’imposta minima o nulla, non può beneficiare di eventuali agevolazioni legate ad es. alle spese di produzione del reddito o a carichi familiari, per il fatto che in Italia l’imposta può essere al minimo pari a zero.  Se l’agevolazione, in termine di risparmio d’imposta, è maggiore dell’Irpef già pagata, allora si perde in tutto o in parte il vantaggio attribuito dallo Stato al cittadino.
Si tratta del famoso problema della “incapienza”, che colpisce solo i redditi più bassi e perciò attenua sensibilmente l’azione redistributiva dell’Irpef.
Un altro aspetto deprecabile dell’attuale Irpef è che essa assegna un po’ arbitrariamente le agevolazioni per i carichi familiari, nel senso che assegna deduzioni “spettanti” decrescenti in base al reddito, ma al reddito di uno qualsiasi dei genitori, a prescindere da quale sia il tenore di vita familiare.  Accade perciò che una famiglia benestante, ma con forte squilibrio tra il reddito del coniuge “ricco” e quello del “povero”, può tranquillamente beneficiare di un risparmio d’imposta nettamente maggiore di un’altra famiglia più povera, ma con redditi dei due coniugi molto simili. Per ottenere ciò è quasi sempre sufficiente attribuire la percentuale di carico dei familiari al coniuge con meno reddito, per figurare come famiglia povera e vedersi attribuire alte deduzioni spettanti. Si tratta di una specie di elusione legalizzata di un meccanismo allocativo pensato per favorire le famiglie più bisognose con carichi familiari.
Infine, sempre in tema di carichi familiari in Irpef, continua a vigere una soglia massima di reddito per essere a carico estremamente bassa, 2841 euro, superati i quali anche il pensionato sociale non figura più a carico dell’eventuale nucleo familiare col quale convive e che non percepirà perciò alcuna agevolazione.
Si tratta perciò di un evidente disinteresse dello Stato per chi si fa carico di familiari anziani a basso reddito.
Esistono diversi altri problemi e incongruenze dell’attuale impianto, ma indirizzare le grosse o piccole risorse pubbliche disponibili per affrontare questi tre importanti difetti sarebbe da solo sufficiente a modificare positivamente il ruolo dell’Irpef con il suo profilo redistributivo e sociale.

Imposta negativa, una strada praticabile. Come superare allora questi tre limiti? Ecco una possibile ricetta.
Innanzitutto potrebbe essere superata parzialmente l’incapienza per le famiglie più povere: chi potrebbe potenzialmente beneficiare di un certo sconto d’imposta, ad es. per carichi familiari, ma non ha sufficiente capienza, in quanto già con imposta nulla o vicina allo zero, potrebbe comunque incassare la differenza, o con credito d’imposta, applicabile anche ad altre imposte dovute, o attraverso l’Inps.  Sarebbe nettamente positivo l’impatto per molte famiglie povere e poverissime.

Reddito familiare per le agevolazioni. Per stabilire con maggiore equità il quantum spettante di agevolazione familiare (l’atttuale deduzione spettante dall’imponibile o, meglio, una detrazione dall’imposta) basterebbe stabilire qual è la quota spettante agganciandola non al reddito di uno qualsiasi dei coniugi, ma all’intero reddito familiare.  In tal modo si ridurrebbe o annullerebbe il vantaggio per le famiglie già benestanti, e si renderebbe possibile aumentare le agevolazioni per le altre famiglie cone effettivo bisogno.
Infine, per considerare meglio le situazioni di familiari di fatto a carico, ma senza benefici fiscali per superamento della soglia dei 2841 euro, basterebbe alzare questa soglia fino a circa 5.000 euro, ma allo stesso tempo attribuire la deduzione al netto dell’eventuale reddito già posseduto dal familiare a carico.  
Se ad esempio un pensionato (o altro sogggetto) all’interno di una famiglia percepisse 4’000 euro l’anno e la deduzione prevista per ogni familiare a carico fosse innalzata a 6’000 euro, la famiglia in questione beneficerebbe rispetto ad oggi di 2’000 euro in più di deduzione potenziale, cioè dei 6’000 euro ritenuti necessari meno i 4’000 già percepiti.
Anche in questo caso sarebbe chiaro, anche se modesto, l’incentivo pubblico a non emarginare persone economicamente non autosufficienti, o comunque a tener conto in qualche misura dei carichi che la famiglia sostiene.

Quelle elencate sono misure non troppo complicate e di immediato impatto di riduzione delle aree di povertà. Il loro costo dipende da da come vengono disegnate in dettaglio le riforme e, naturalmente, da quante risorse si è disposti ad indirizzare su questi temi.  Ma appare indubbio il beneficio che ne trarrebbero importanti segmenti di popolazione ed il ruolo stesso dell’Irpef.

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