VARATO IL CODICE DELLA P.A. “DIGITALE”. NUOVE PROMESSE DA MARINAIO?

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Dal 2006, e-mail con valore legale e tutti i pagamenti on line. Ma è difficile crederci
di Carlo di San Giusto

Il
condizionale è d’obbligo sulla possibilità di mantenere gli obiettivi
indicati dal recentissimo Codice dell’amministrazione digitale,
approvato con il decreto legislativo n. 28/05. Troppe volte gli annunci
sulla informatizzazione delle scuole e dei ministeri, sull’avvento
del  protocollo informatico e sulla fine delle code si sono
rivelati promesse da marinaio.

Basta citare gli
obiettivi indicati nelle “Linee Guida del Governo per lo sviluppo della
società dell’informazione”, tra i quali c’era la distribuzione di
trenta milioni di carte di identità elettroniche e di carte dei servizi
entro la fine della legislatura. Secondo le ammissioni dello stesso
ministero dell’innovazione, all’inizio del 2005 risultavano distribuite
solo 1,6 milioni di carte, appena poco più del 5 per cento. Egualmente
mancati sono gli altri altisonanti obiettivi delle “Linee Guida”: tutti
i servizi prioritari disponibili on line, tutta la posta interna della
PA via e-mail, tutti gli impegni e mandati di pagamento gestiti on
line, 1/3 della formazione erogata via e-learning, 2/3 degli uffici con
accesso on line all’iter delle pratiche da parte dei cittadini, tutti
gli uffici dotati di un sistema di verifica della soddisfazione
dell’utente.

Scetticismi a parte, vediamo comunque cosa dice di
interessante il documento, che quanto meno ha il pregio di fornire un
quadro normativo di base per l’utilizzo delle tecnologie digitali nella
Pubblica amministrazione.  
 
Diritti del cittadino, obblighi per la PA
Con una certa enfasi, il codice stabilisce una vasta serie di “diritti digitali” del cittadino e delle imprese:

  • all’uso
    delle tecnologie in tutti i rapporti con le amministrazioni (non
    dovrebbe essere più possibile per un’amministrazione o per un gestore
    di pubblico servizio obbligare gli utenti a recarsi agli sportelli per
    presentare documenti cartacei,  firmare domande o istanze, fornire
    chiarimenti);
  • all’accesso e all’invio di documenti digitali;
  • ad effettuare a partire dal 2006 qualsiasi pagamento in forma digitale;
  • a ricevere qualsiasi comunicazione pubblica per e-mail;
  • alla qualità del servizio e alla customer satisfaction (che le pubbliche amministrazioni dovranno controllare periodicamente);
  • alla
    partecipazione (i cittadini hanno diritto di partecipare al processo
    democratico ed esercitare i diritti politici usufruendo delle
    possibilità offerte dalle nuove tecnologie).
  • a trovare on-line i moduli e i formulari validi e aggiornati.  

Nella
PA digitale questi diritti saranno garantiti dalla disponibilità di
alcuni strumenti innovativi a cui il Codice dà piena validità
giuridica: la posta elettronica certificata, di cui sono certe la data
e l’ora di spedizione, la ricezione e provenienza, e la firma digitale,
che assicura al documento informatico la stessa validità del documento
cartaceo ad ogni effetto di legge.
Come si vede, quelle del Codice
sono disposizioni impegnative ma di carattere prevalentemente
programmatico, che non fanno scattare diritti azionabili dal lato
dell’utente. Ci sono comunque alcune norme (poche) che dovrebbero
funzionare da catenaccio, “imponendo” il passaggio al procedimento
digitale: tra queste ad esempio quella che prevede che dal  1°
gennaio 2008 tutti i documenti rilevanti per il procedimento, i moduli
o i formulari che non siano stati pubblicati su Internet non possono
essere richiesti ed i relativi procedimenti possono essere conclusi
anche in loro mancanza (art. 57, comma 2).
L’altra novità a nostro
avviso più interessante del codice è quella che generalizza la PEC –
posta elettronica certificata, nei rapporti con i cittadini e le
imprese.
Gli aspetti applicativi della PEC sono regolati da un altro
recente provvedimento, il DPR 68/2005 (ancora in attesa, peraltro,
delle regole tecniche), che accanto a molti lati positivi ne presenta
alcuni discutibili, come il limite minimo di un milione di euro di
capitale per i provider, e che qualora confermato potrebbe addirittura
provocare (denuncia l’Assoprovider) la chiusura di 1500 aziende e la
perdita di ventimila posti di lavoro.

Segnali negativi
A
parte queste riserve, l’entrata in vigore del codice della PA digitale
apre prospettive favorevoli per i cittadini e per le imprese,
soprattutto se si riuscirà a realizzare finalmente la rete unitaria che
dovrà collegare tutte le amministrazioni. Purtroppo, però, i segnali
che arrivano dalla realtà quotidiana sono di segno opposto. Apprendiamo
dai giornali che il fax della struttura multilaterale che dovrebbe
prevenire gli incendi dolosi nella pineta di Castelfusano è rimasto
inutilizzabile due mesi a causa della mancanza di inchiostro. Non
migliore è la situazione nella scuola, dove spesso sono carenti sia
l’informatizzazione che la cultura informatica. Secondo quanto riferito
da E. Maccarone in occasione del convegno per il decennale della
rivista telematica Interlex, a Palermo quasi nessuno degli studenti
universitari possessori di ECDL, la patente informatica europea, ha
ricevuto un’istruzione adeguata; alcuni addirittura non hanno mai avuto
accesso a quegli applicativi per il cui uso hanno ottenuto licenza.
Nei
collegamenti la diffusione della banda larga è ancora sotto la media
europea pur essendo in crescita, ma oltre il 70% degli utenti non è in
grado di utilizzare servizi sulla propria connettività mentre al 25%
viene garantita una velocità che è minore di quella di un modem
analogico.
Proprio in materia di governo elettronico e firma
digitale il quadro normativo è ancora tutt’altro che adeguato. Sempre
al citato convegno di Interlex un magistrato (Buonomo) e tre avvocati
(Monti, Neirotti e Ricchiuto) hanno letteralmente demolito le
nuovissime norme sul processo telematico (inserite nella conversione
del decreto-legge sulla competitività), che non si conciliano con il
codice di procedura civile, con il regolamento del 2001 e con il Codice
dell’amministrazione digitale oltre che con il regolamento sulla posta
certificata: “un guazzabuglio di disposizioni la cui analisi ha portato
alla conclusione che, in attesa di norme migliori, è meglio affidarsi
alla carta… alla faccia della tanto conclamata innovazione”.
E
non a caso già si parla di una revisione del Codice appena approvato,
come hanno ammesso ufficialmente gli stessi rappresentanti del
ministero. Ma come al solito, nonostante il flop delle Linee Guida, il
vizio delle previsioni trionfalistiche non si perde: secondo la stima
del ministro dell’innovazione il Codice porterà nelle casse dello Stato
circa 2.640 milioni di euro l’anno, di cui 200 milioni di euro
risparmiati sui mandati di pagamento, 360 milioni dalla PEC, 400
milioni dall’archiviazione ottica dei certificati e 45 milioni per le
firme digitali di università e imprese.
Nella società della
comunicazione, governare non significa realizzare ma annunciare. Però
poi quando la competitività scende sotto i livelli della Zambia, i nodi
della politica dell’annuncio vengono spietatamente al pettine.

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