LE MANI SULLA CITTA’ UNA STORIA INFINITA. MA EVITIAMOLA ALMENO ALL’AQUILA

(19.5.09) Come andrà la ricostruzione all'Aquila è difficile dirlo. Bene, se ragioniamo in base alle nostre speranze. Male, se dobbiamo ragionare in base a quello che è successo in tante precedenti occasioni, dal Belice all'Irpinia. E se, soprattutto, forze del bene volenterose ma non sufficientemente sostenute dall'opinione pubblica saranno costrette a misurarsi con una criminalità, imprenditoriale e politica, che da allora ha potenziato le sue capacità di pressione e perfezionato le sue tecniche corruttive. Questo scritto di Umberto Santucci, che tra le sue varie attività è docente all’Accademia dell’Immagine dell’Aquila e all’Istituto Superiore di Fotografia e Comunicazione integrata,  ci fa capire – attraverso un “gioco di ruolo” purtroppo non lontano dalla realtà – quanto sia forte il rischio che “loro” possano fare del disastro dell'Aquila un'occasione per tornare alle abituali routine di rapina. E quanto sia importante saper usare i “nostri” strumenti – che sono attenzione, comunicazione, immaginazione, racconto – per  vigilare su ciò che succede e succederà, anticipare le mosse, contrastare modelli di ricostruzione criminosi come quelli più volte sperimentati in passato.
Articolo di Umberto Santucci (*)

Un hacker, di cui non si fa il nome per comprensibili motivi, è riuscito a intercettare questo scambio di email tra un importante politico e un costruttore, e ha pensato di metterle in rete come “azione preventiva”.

“Egregio Onorevole,
Sono un costruttore edile, fortemente interessato alla ricostruzione dell’Aquila. Non sono mafioso perché, come lei ben sa, la mafia non esiste. Sono una persona che si preoccupa del bene di tutti: ridare una casa ai terremotati, sostenere la carriera di politici illuminati come lei, rimettere in moto l’economia, e infine fare i miei giusti profitti. Se ci muoviamo bene, tenendo presenti gli eventi precedenti del Molise e di San Giuliano, l’affare abruzzese può essere bello grosso.

"Il punto chiave, come mi hanno confermato esperti sismologi e studiosi della complessità e delle previsioni stocastiche che ho consultato allo scopo, è che un sisma della potenza di quello appena avvenuto è ben difficile che si verifichi di nuovo nell’arco di 50 anni, anzi è molto più probabile che passeranno due o tre secoli, come è avvenuto finora.
Quindi non c’è nessun bisogno di costruire edifici di alta qualità e resistenza sismica. Sarebbero soldi sprecati, i nostri soldi. Possiamo continuare ad usare cementi depauperati e acciai semplificati, con notevole risparmio. Possiamo vendere le case nuove a prezzi più alti spacciandole per case fatte secondo i criteri più avanzati. Ci basterà fare infissi a buona tenuta e mettere qualche pannello solare, per dare alle case un aspetto ecocompatibile. Del resto ciò che conta per la gente è avere un tetto e viverci spendendo il meno possibile. Di quello che c’è dentro i muri alla fine nessuno ci capisce niente.

"Sarà necessario mettersi a posto
dal punto di vista formale e burocratico, ma basterà assicurarsi i servizi di qualche compiacente funzionario per ottenere una documentazione a prova di bomba, anzi, di terremoto, anche se non corrisponde alla realtà.
Se non avviene nessun sisma forte entro 50 anni siamo a posto, perché allora si potranno demolire e ricostruire le case basandosi sul naturale invecchiamento del cemento, e quindi non resterà traccia di quanto abbiamo fatto, nessuno se ne sarà nemmeno accorto, nessuno avrà subito danni.
L’unico rischio è che ci sia un forte sisma a breve, e che crolli tutto. Contro questa eventualità non possiamo fare nulla. Possiamo solo cercare di renderci invisibili e introvabili, possiamo costituire una società immobiliare che gestisce il tutto subappaltando i lavori a piccole imprese dell’est europeo, e dopo un paio di anni sciogliere la società in modo da disperdere tracce e responsabili.
Questi stessi criteri si possono usare per le new town, che in tal senso potrebbero rappresentare un altro ottimo affare.
Con ossequi, Suo…"

"Caro ingegnere,
Ho ricevuto la sua del xx_xx_xxxx. Effettivamente l’idea è interessante e di buon senso, perché anche i forti terremoti precedenti, non è mai successo che si siano ripetuti a breve, quindi potremmo stare piuttosto sicuri.
Il problema è che si stanno costituendo gruppi di cittadini che vogliono vederci chiaro, per ora in quello che è stato fatto prima del terremoto, ma temo che vorranno impicciarsi anche di ciò che faremo dopo. Ah, i bei tempi in cui i cittadini ci delegavano tutto e pensavano a farsi gli affari loro!
Penso perciò che dovremo muoverci con grande attenzione, per accontentare i gruppi di pressione senza scontentare noi stessi.

"Forse la cosa migliore è cominciare a costruire bene, invitando rappresentanti di cittadini e stampa a controllare tutto, con tale insistenza che loro stessi si stuferanno e ci diranno che si fidano, e poi, quando sarà passato un po’ di tempo, l’emozione del sisma sarà sopita e la gente ricomincerà a pensare ai suoi interessi di ogni giorno, potremo tornare alle vecchie abitudini senza che nessuno se ne accorga.
Potremmo interrompere i lavori in corso, dicendo che sono finiti i soldi, e poi riprenderli dopo aver ottenuto nuovi finanziamenti, subappaltando a piccole imprese diverse dalle precedenti, e finire i lavori con i criteri che più ci convengono, magari anche cambiando i progetti originari, per rendere gli edifici più redditizi.
Per le new town ha ragione, ma ne riparleremo a tempo debito, anche perché lì ci sono interessi molto più forti e “nazionali”.
A presto."

Questo scambio di lettere l’ho inventato io, per sfogare il dolore e la rabbia della vicenda aquilana, che mi ha toccato personalmente perché la mia famiglia è di Navelli, e insegno all’Accademia dell’Immagine, ora distrutta. E’ una fantasia verosimile, perché lettere e telefonate del genere si staranno già incrociando fra gli interessati.
E’ il gioco creativo di anticipare con la fantasia cose che potrebbero avvenire, in modo da esorcizzarle. Come tipo di gioco appartiene al gioco di ruolo o role play, che consiste nel calarsi in un ruolo diverso dal proprio per pensare e comportarsi il più possibile nel modo in cui agirebbe l’altra persona.
Il gioco è usato in campo psicoterapeutico come psicodramma, in cui il paziente interpreta su un palcoscenico i personaggi che fanno parte del suo dramma, mettendosi nei loro panni per comprendere e gestire meglio la sua situazione.
Il role play è usato in campo manageriale, per provare a comportarsi come il cliente, o il fornitore, o il concorrente, o il capo, in modo da vedere il problema sotto diversi punti di vista.

Per giocare questo mio role play ho usato due strumenti di problem solving strategico: cambiamento di punto di vista e “come peggiorare”, e uno strumento concettuale sistemico, come l’osservazione dei trend.
Il cambiamento del punto di vista mi ha portato ad entrare successivamente nel ruolo del costruttore speculatore e dell’onorevole mazzettaro, (e cioè dei personaggi che già si stanno fregando le mani gongolanti di fronte alla valanga di fondi che farà seguito al terremoto), per assumere il loro modo di ragionare, il loro senso morale, la loro avidità di potere e di denaro.
Con la tecnica del “come peggiorare” ho cercato, dai rispettivi punti di vista, di pensare il peggio che mi fosse possibile, dato che a certe perversità noi comuni cittadini non riusciamo ad arrivarci. Il peggio potrebbe essere una ricostruzione tipo Molise, fatta però in modo più raffinato, meno appariscente, con una elegante patinatura di ecoedilizia.
Come considerazione sistemica ho cercato di pensare alla probabilità che un sisma di eguale intensità possa verificarsi a breve. Poiché la frequenza di grandi sismi nella zona va dal secolo (Marsica, 1915) ai tre secoli (L’Aquila, 1703) e il cemento armato dura al massimo cento anni, ragionando in modo del tutto cinico non ci sarebbe bisogno di ricostruire in modo antisismico. Il problema è stabilire se una casa è solo una macchina speculativa o è una tana, un nido in cui rifugiarsi e sentirsi protetti.

Già nei primi anni sessanta denunciavo inascoltato
gli scempi edilizi che stavano stravolgendo la bella città del mio Abruzzo, immergendola in una periferia speculativa e cartongessosa che nulla più aveva dell’antica nobiltà architettonica e urbanistica che i 99 paesi fondatori avevano donato all’Aquila, e che l’Aquila a loro restituiva con modelli di alta qualità ancor oggi godibili in paesi come Santo Stefano di Sessanio.
Il terremoto attuale ha tirato giù proprio quel modello edilizio speculativo, dimostrandone la criminale fragilità.
Ora è il momento di vigilare, di non delegare, di non tornare alle nostre routine, di non permettere di tornare alle loro routine, di usare i nostri strumenti, che sono creatività, comunicazione, attenzione, immaginazione, racconto, con cui possiamo vigilare su ciò che succede e succederà, anticipare le mosse, fare di tutto per evitare modelli di ricostruzione come il Belice o l’Irpinia.
Per l’abruzzo aquilano ho tutta la sfiducia possibile nelle classi dirigenti che hanno dato pessima prova di sé, ma confido nel senso di indipendenza degli aquilani che li fece resistere anche agli spagnoli, e nei nuovi segni di attenzione dei giovani.

Umberto Santucci si occupa da più di trent’anni di comunicazione multimediale, con realizzazioni di grandi multivisioni e soluzioni creative per eventi culturali e convention. È coach di problem solving creativo, certificato dalla Scuola di Problem Solving Strategico di Arezzo. È consulente e formatore di agile project management, chaos management, pensiero sistemico, mappe mentali e altri metodi di organizzazione e rappresentazione dei processi mentali. Insegna all’Accademia dell’Immagine dell’Aquila e all’Istituto Superiore di Fotografia e Comunicazione Integrata. Fa parte dello staff di Amicucci Formazione ed è partner creativo di Danny Rose, per la spettacolarizzazione di grandi eventi fra cui “Giulietta e Romeo” di Cocciante. Ha scritto Fai luce sulla chiave (L’Airone, 2008).

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