LA VIOLENZA CHE SI FA MA NON SI DICE

di Lea Melandri

(da Aprilonline.info) 

Le dichiarazioni di Berlusconi sui recenti casi di stupro portano allo scoperto un pensiero "da bar" che domina la nostra società, cioè l'attribuzione alle donne della provocazione sessuale come motore dell'aggressione fisica. Un modo per rimuovere il fatto che questa stessa ha come protagonisti gli uomini, che si preferisce deresponsabilizzare per stornare l'attenzione su sicurezza e immigrazione, falsando a proprio comodo la realtà

Tutti quelli che si sono affrettati a commentare con sdegno l'uscita di Berlusconi su stupri e misure di sicurezza – "ci vorrebbero tanti soldati quante sono le belle donne italiane"- sembrano dimenticare o far finta di non sapere che in questa, come in altre volgari, irresponsabili "battute" del presidente del Consiglio, si esprime quel sentire comune, largamente diffuso, quanto meno tra gli italiani (e sicuramente anche tante italiane), che gli ha creato finora un indiscusso -e altrimenti inspiegabile- consenso.
La sua sfrontatezza e impunità è evidentemente liberatoria per tutto ciò che si pensa, si fa, e ipocritamente non si dice. Bisogna allora riconoscergli, in questo caso, il "merito" di aver portato allo scoperto, col suo "maschilismo da bar" -l'attribuzione alle donne della provocazione sessuale- l'aspetto più evidente e paradossalmente più rimosso dell'aggressione che ha per oggetto il corpo femminile, e cioè che la violenza è fatta da uomini, in quanto tali, per cui ogni tentativo di stornarla su problemi di sicurezza e immigrazione, è vergognosamente falso.
Se ci indigna che esca dalla bocca di una delle più alte cariche delle Stato il pregiudizio antico su cui ancora si regge il dominio maschile -che le donne sono o "madri" o "puttane"-, non di meno dovrebbe risultarci intollerabile l'arroganza ipocrita di parlare d'altro, di mascherare una verità che è sotto gli occhi di tutti, dimostrata dell'intera classe politica di questo paese, dei suoi organi di informazione, dei suoi ceti intellettuali, dei suoi professionisti della cultura, nonostante per altro siano stati resi pubblici ormai da anni dati numericamente impressionanti sulla violenza domestica (che si tratti di stupri, omicidi o maltrattamenti) e nonostante le manifestazioni, gli scritti, le prese di posizione di gran parte del femminismo italiano.
Tor di Quinto non ha insegnato nulla, la parola "sessismo" non entra nel lessico politico né della destra né della sinistra, del maschio che aggredisce, stupra e uccide, non è il sesso che conta ma l'appartenenza etnica, la patologia, lo statuto della trasgressione o della delinquenza. Si spinge l'attenzione pubblica a tener fermo lo sguardo su strade, città, campagne, ad accanirsi inutilmente su opzioni sicuritarie di cui si sa già l'inefficienza, perché a nessuno venga in mente di farsi le domande più razionali e più semplici: perché gli uomini uccidono? Perché il luogo primo della violenza maschile, anche di quella che si manifesta all'esterno delle mura domestiche, è la famiglia? Quanto conta l'ambigua "potenza" e "seduzione" che viene attribuita ai corpi femminili che partoriscono, alimentano, curano figli, mariti, fratelli, nel perdurare di una "virilità" confusa col potere, col controllo, o con l'aggressione? Quanto contribuisce a mantenere l'ignoranza del rapporto tra i sessi una scuola che ignora corpi, sentimenti, pulsioni, sogni e incubi ereditati dall'infanzia, dai primi rapporti col mondo adulto, con la cultura dominante?
I movimenti che quarant'anni fa hanno provato ad avviare processi formativi e pratiche di una politica capace di "andare alle radici dell'umano", partendo dalla famiglia e dagli asili, sono stati cancellati persino dalla memoria della sinistra, moderata e "rivoluzionaria", e non c'è da meravigliarsi che sia oggi la maggioranza al governo a ricordarsene e a tentare di eliminarne persino le tracce.
Il fatto che Berlusconi abbia associato lo stupro alla bellezza, ben sapendo che purtroppo la violenza sessista non ha queste premeditazioni estetiche, è un lapsus a cui si può dare una spiegazione. La cultura di massa, volgare e sbracata come le sue esternazioni, passa attraverso uno schermo televisivo che elargisce anatomie femminili in abbondanza e a ritmo continuo, corpi esposti, offerti, sia pure virtualmente. Offerti a che cosa? Al desiderio maschile, all'invidia femminile, all'imitazione o anche, perché no, al possesso violento, a odi nascosti, inconsapevoli, di quelli che vediamo "normalmente" come teneri figli, padri, amanti, mariti?
Alcuni giorni fa, non ricordo più su quale delle reti di Mediaset, in un grazioso salottino di composte signore e signori si giocava a uno strano indovinello: su uno schermo passavano culi, tette e labbra e i presenti dovevano indovinare a chi appartenevano. Per essere riconosciuti si dava per scontato che questi frammenti anatomici fossero stati più volte esposti, sottolineati dallo stesso sguardo voyeuristico come parti per l'intero. Perché un bambino, bersagliato da corpi femminile ammiccanti non dovrebbe crescere con l'idea che le donne sono essenzialmente corpo e non persone, oggetti da comprare, consumare come le merci con cui vengono identificate? La barbarie del violentatore, dell'assassino di donne, è la stessa che le ha espulse dalla vita pubblica, che ancora le tiene lontane dai luoghi in cui si pensa, si discute e si decide sulla comune convivenza, che le vuole madri o seduttrici o comunque subalterne al sapere e ai linguaggi dell'unico sesso che si è fatto protagonista della storia.
L'emancipazione femminile purtroppo oggi parla quasi esclusivamente al "neutro", attenta a quelle "oscure carriere" di cui già si rammaricava Virginia Woolf all'inizio del ‘900, o costretta, quando ha opinioni proprie, a sopportarne la marginalità, l'insignificanza pubblica.
Conforta il pensiero che il movimento delle donne, sempre dato per morto, continuerà ad avere sussulti, irruzioni improvvise, finchè il sessismo non sarà riconosciuto come tale.

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