IL NOSTRO FUTURO SARA’ BUONO O CATTIVO? CE LO DICE MARCO VITALE DAL 2020

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Contrappunti.info è lieta di pubblicare in forma integrale questa lettera – già apparsa in versione ridotta sul Corriere della Sera – che Marco Vitale, fingendo di trovarsi nel 2020, indirizza a colui che sarà per quell’anno il Presidente della Confindustria. Il noto economista immagina, per allora, di trovarsi in un’Italia diversa e migliore, che avrà risolto – facendo “oggi” alcune scelte coraggiose – tanti problemi che attualmente sembrano insolubili. Ma la domanda è: riusciremo noi, riusciranno i nostri governanti a trovare il coraggio di queste scelte? Il back to the future di Vitale è una previsione fondata o è solo un sogno? Cosa c’è nel nostro futuro, un paese risanato o un paese che precipita sempre più ai margini del mondo occidentale? Lo scopriremo solo vivendo

Milano, 9 maggio 2020
Caro Presidente, il 9 maggio è per me, da sempre, una giornata di festa personale. Questa giornata, infatti, coincide con l’anniversario della dichiarazione di Schuman del 1950, che diede l’avvio operativo al processo di integrazione europea, la più grande realizzazione umana degli ultimi 70 anni. Perciò è mia antica abitudine dedicare questa giornata, che oltre tutto è di solito climaticamente dolcissima, a riflettere.

Quest’anno, dall’alto dei miei 85 anni, che mi permettono di rivolgermi ai suoi 45 anni come un nonno ad un nipote, voglio riflettere sugli eventi degli ultimi 15 anni e dedicare questa riflessione a Lei che ha ancora tante possibilità di influenzare il futuro.
Mi voglio rifare al 2005 perché in quell’anno l’Italia, forse, toccò il fondo nella sua storia più recente. Il Paese era sgomento, sfiduciato, impaurito, confuso, senza rotta e senza bussola, in piena recessione morale e poi economica. Sembravamo moralmente e intellettualmente perduti. Ora invece ci siamo moralmente ripresi e viviamo abbastanza bene e serenamente. Il processo di integrazione europea è ripreso e si è completato e l’Italia ha riconquistato la posizione rispettata che le compete nello stesso. La Fiat non è più controllata dalla famiglia Agnelli ma se l’è cavata e, pur giocando ormai il campionato di cat. B, ha conservato all’Italia un know how automobilistico e si è anche riusciti ad impedire che la Maserati desse il colpo di grazia all’Alfa Romeo. Una ventina di multinazionali tascabili hanno continuato la loro espansione quantitativa, qualitativa e geografica e sono diventate tutte  importanti realtà mondiali nello specifico settore. Ma poiché si sono tutte quotate a Londra o Francoforte, la Borsa di Milano si sta avviando praticamente e gradualmente alla chiusura, come successe a suo tempo a quella di Palermo.

Contrariamente alle previsioni
che alcuni facevano ed altri addirittura auspicavano nel 2005, l’Italia è rimasta, in misura più o meno corrispondente a quella del 2005, paese manifatturiero, anche se ha imparato a prendere parte con profitto allo sviluppo manifatturiero delle grandi regioni emergenti del mondo e soprattutto Cina, india e paesi del Sud Est Europeo ed anche se, gradualmente, il sistema (pubblico e privato insieme) ha saputo muoversi anche verso segmenti tecnologicamente più avanzati. La penisola balcanica, in particolare, parla molto italiano ed anche in Turchia, per la quale è stato finalmente avviato con decisione il processo di aggregazione all’UE, la presenza imprenditoriale italiana è significativa.
Nei settori legati agli stili di vita (moda, arredamento, enogastronomia, gioielleria, pelletteria) la leadership italiana si è decisamente rafforzata, nonostante la fine non programmata di alcuni stilisti importanti abbia favorito, nella moda, gli eterni rivali francesi. Ma anche in alcuni settori della meccanica, ed a prescindere dalla nazionalità degli azionisti, l’Italia sta facendo bene ed ha conquistato o consolidato posizioni mondiali rilevanti (macchine da legno, macchine agricole, elettrodomestici, meccano tessile ed altri). Nella meccanica di qualità si è verificato un interessante fenomeno. Attraverso acquisizioni reciproche ed alleanze strategiche si è realizzata una notevole  integrazione tra meccanica avanzata italiana e tedesca, dando vita al più poderoso complesso di meccanica avanzata del mondo.

Fortunatamente non si parla più di Mezzogiorno
se non quando si parla di vacanze e l’ultimo viceré delle Due Sicilie è stato licenziato da tempo e ridotto a vivere di quello che sa fare. Nella piana di Bagnoli sono stati aperti cantieri che hanno creato notevole occupazione per l’area partenopea per dieci anni, da quando l’intera operazione è stata affidata ad una società di sviluppi immobiliari inglese. Ad Agrigento la disoccupazione è scesa da oltre il 20% al 3% e i visitatori della Valle dei Templi sono saliti da 400.000 all’anno a 3 milioni all’anno, da quando l’intera gestione del parco archeologico è stata affidata ad una compagnia formata  da uomini d’affari ed architetti americani. Il ponte di Messina non si è fatto per timore di sovvenzionare la mafia, che è stata danneggiata anche dal ritorno di Leoluca Orlando a sindaco di Palermo e soprattutto dalla trasformazione della Regione Siciliana in regione ordinaria (come è stato fatto anche con tutte le altre regioni speciali), con il dimezzamento degli organici e lo scioglimento del Parlamento regionale. Grande eco mondiale, con effetti straordinariamente positivi per l’immagine del Mezzogiorno, ha avuto l’azione militare che, sulla base di una legge ad hoc, ha portato alla distruzione di migliaia di case abusive costruite a pochi metri dalla battigia lungo molte spiagge del Sud e delle isole.

Il turismo in generale e quello culturale in particolare
ha ricevuto un grande impulso ed il trend negativo ha toccato il fondo proprio nel 2005. Ciò è stato l’effetto di una articolata politica i cui punti salienti sono stati: l’approvazione di una legge costituzionale che ha reso costituzionalmente impossibili i condoni edilizi e ambientali; l’avere deciso di investire sulle fasce di mercato, come il turismo culturale, nelle quali l’Italia gode di una posizione competitiva privilegiata e non nel turismo “commodity” dove l’Italia è perdente sotto ogni profilo rispetto a tanti paesi vecchi e nuovi ( in realtà non si parla più da tempo di turismo culturale ma di turismo basato sulla valorizzazione dei vari territori, in una visione integrata dei principali aspetti, che rappresentano appunto la cultura di quel territorio); l’aver ristretto in modo drastico i poteri in materia edilizia e ambientale dei comuni, subordinandone le decisioni al parere vincolante, in materia ambientale, di una apposita commissione formata esclusivamente da esperti canadesi.

Con una serie di misure appropriate
tra le quali una politica fiscale raffinata,  lo sviluppo dell’uso dei gas naturali e di ricupero, una poderosa campagna per il risparmio energetico che ha portato a risparmi impensabili, l’accelerazione dei programmi per il rinnovo delle centrali elettriche, la rottura del dannosissimo monopolio ENI all’importazione del gas,  il costo dell’energia è sceso del 40%, allineandosi a quello dei maggiori paesi e contribuendo in modo significativo alla ripresa della competitività del Paese. Le ex municipalizzate del Nord si sono volontariamente fuse dando vita a complessi integrati competitivi e capaci di sostenere un alto livello di investimenti come richiesto dall’esigenza di modernizzazione delle città e dei servizi pubblici. Di fronte alla riluttanza delle analoghe minori società del Sud a procedere nella stessa direzione, per superare il groviglio di interessi che le frenavano, si è proceduto con un provvedimento legislativo che ha imposto la costituzione di una unica multiutility per ogni regione. Il settore tessile, sotto la salutare concorrenza dei paesi emergenti, si è ridotto, fortemente ristrutturato, in parte delocalizzato, specializzato, ma conserva la leadership europea ed ha saputo conquistare posizioni significative in Cina e in India. Gli investimenti in cultura sono diventati in quasi tutte le città la spesa principale dopo quella sociale, e ciò non solo ha reso la vita nelle nostre città molto più gradevole ma è diventato potente fattore di sviluppo economico. Cosa che del resto si è verificata anche per la sanità da quando è passato il concetto che la spesa sanitaria non è solo un costo ma un investimento e da quanto il risveglio della magistratura (liberata dall’assillo di difendere la sua indipendenza dagli assalti del Governo e del Parlamento) ha ripulito le strutture sanitarie di buona parte dei ladri.

Questo riorientamento della spesa pubblica
verso forme di spesa che stimolano lo sviluppo è stato possibile grazie ad una vera  riorganizzazione della struttura pubblica che, in cinque anni, ha visto ridursi, con il consenso dei sindacati che quando il Paese è sull’orlo della rovina diventano ragionevoli e responsabili, il numero totale degli addetti di 1.5 milioni, raggiungendo standard accettabili sulla base di confronti internazionali; da una nuova politica fiscale basata anch’essa su una norma costituzionale  che rende costituzionalmente impossibili i condoni e che quindi ha tolto di mezzo uno dei più grandi incentivi alle evasioni; e da un grande taglio delle fameliche clientele politiche, che dal 2000 al 2005 erano diventate soffocanti.

I distretti industriali
non sono spariti (salvo per poche eccezioni dalle radici recenti) ma, sia quelli vecchi che quelli nuovi, si sono dati un nuovo profilo ed una nuova struttura: non più semplici vicinanze di lavoro, ma centri integrati in strutture comuni appositamente programmate e con funzioni essenziali (come la ricerca, la formazione, la sicurezza, l’informatica) unitariamente gestite.  Ciò ha permesso a numerosi distretti di funzionare anche come incubatori di nuove imprese.
L’agricoltura, forte di  una grande tradizione, di alte competenze scientifiche e di una delle industrie di meccanizzazione agricola più forti del mondo, anche sotto lo stimolo di una domanda di prodotti sempre più sani e di qualità e di una accesa concorrenza da tutto il mondo, ha vissuto una stagione di straordinario sviluppo ed evoluzione: sono nati distretti specializzati e catene di distribuzione efficaci (costruite insieme alle cooperative di consumo), si è spinto al massimo l’uso delle tecnologie più avanzate, le maggiori imprese si sono aperte al capitale di rischio, si sono sviluppate società di engineering e gestione agricola che operano, ormai, in tante parti del mondo compresa, con il finanziamento della Banca Mondiale,  l’Africa. Le banche, da quando è cambiato il governatore della Banca d’Italia, hanno dato vita ad intelligenti integrazioni a livello europeo con evidenti vantaggi reciproci e con una maggiore capacità di competere, sul fronte dell’investment banking, con lo strapotere delle “investment bank” americane. Fu allora che Mediobanca vendette la sua partecipazione nelle Generali, impiegando il capitale così liberato per investimenti e finanziamenti in progetti di sviluppo di medie imprese.

Lo sviluppo tecnologico
ed una politica indipendente hanno limitato la posizione dominante del duopolio televisivo e pubblicitario, ridando,anche a questo campo, un po’ di movimento al paese, in precedenza, completamente ingessato e spremuto dal duopolio. Lo stesso è avvenuto in tutte le aree dove monopoli e semimonopoli, di fatto o di diritto, si arricchivano a spese dei consumatori e quindi del Paese, e ciò si è verificato da quando la competenza antitrust è stata totalmente concentrata nell’agenzia europea.

Questi alcuni dei passaggi specifici di questo difficile recupero.
Non è facile ma vorrei cercare di individuare anche alcuni punti generali e decisivi di questa grande svolta che si è sviluppata gradualmente ma il cui disegno unitario appare ora chiaro. Forse il primo punto di svolta di carattere generale fu rappresentato proprio dalle dimissioni, nel corso del 2005, del governatore della Banca d’Italia a seguito degli inquietanti, incomprensibili e dannosi (per la reputazione del Paese e della Banca d’Italia) comportamenti in alcune vicende di OPA bancarie, che fecero seguito ai colossali errori strategici con i quali è stata condotta la ristrutturazione del settore bancario negli anni ’90 del secolo scorso. La pressione dell’opinione pubblica qualificata, nazionale ed europea, l’intervento correttivo della Consob, alcuni sconcertanti particolari fatti emergere da volenterosi reporter, resero le dimissioni non più rinviabili. Ciò riportò le regole del mercato nel fondamentale settore bancario, riaprì la via all’integrazione finanziaria europea senza riserve e manipolazioni, offrì al governo l’’occasione di presentare una legge razionale funzionale e rigorosa sulla tutela del risparmio sulla quale, per evitare altre ignominie parlamentari, chiese il voto di fiducia, e di avviare una riforma modernizzante della Banca d’Italia che, tenendo conto dell’Euro e della BCE, ne facesse un istituto normale, con compiti importanti, precisi ma limitati, come in Svizzera, in Germania, in Olanda e non un centro di potere oscuro e travalicante il suo ruolo come era diventata in Italia. Tra l’altro il manager quarantenne che fu posto a capo della Banca d’Italia proveniente dall’ufficio studi dell’Arma dei carabinieri ne ridusse alla metà il personale (la parte esuberante, grazie alla sua indiscussa competenza, andò a rafforzare altre importanti istituzioni economiche e ministeri) e vendette gli ormai inutili palazzoni centrali.

Un altro punto di svolta fu quando si ebbe il coraggio di ammettere che le riforme Berlinguer – Moratti della scuola e dell’Università erano un disastro
(e che soprattutto il 3+2 per gli ingegneri rischiava di distruggere la tradizione ingegneristica italiana ed era un autentico delitto contro il Paese) e si ebbe il coraggio di fare marcia indietro. Si è dovuto correggere di corsa la logica dell’ignoranza programmata, ritornando ad insegnare seriamente matematica agli studenti di ingegneria e storia, biologia, scienza della terra nelle scuole superiori. Qui un grosso contributo l’hanno dato quei movimenti di insegnanti che con l’accordo dei genitori, ed in base ad una norma sull’autonomia scolastica, hanno condotto una resistenza attiva continuando ad insegnare i vecchi programmi ed i vecchi testi.  Ma nello stesso tempo si fissò il principio che, per venti anni, ci si sarebbe astenuti da ogni riforma generale della scuola italiana, lasciando alla stessa un periodo di tranquillità e di assestamento e di evoluzione naturale e ci si sarebbe concentrati a rafforzare aspetti specifici della stessa.

Significativa fu anche la sospensione del campionato di calcio professionisti per dieci anni.
Preso atto della incapacità di questo mondo di riformarsi, della sua enorme capacità di corrompere la morale dei giovani, della sua potente forza diseducativa, del fatto che in gran parte era controllato da personaggi molto discutibili, che creava grandi spese pubbliche per sicurezza, manutenzione degli impianti, trasporti, che era dominato da insuperabili conflitti di interesse, che il controllo televisivo dello stesso era diventato quasi totalmente privato, si prese la saggia decisione di sospendere per dieci anni il campionato professionisti, dedicando invece un po’ di risorse al calcio giocato dei club dilettantistici. La misura di dieci anni fu ispirata da Tacito che ricorda che quanto nell’anfiteatro di Pompei si verificò una grande rissa tra i tifosi di Pompei e quelli di Nocera in una gara di gladiatori del 59 d.C. l’anfiteatro di Pompei fu squalificato appunto per dieci anni.

Un altro punto di svolta
fondamentale fu quando la vostra generazione, i trentenni del 2005, vincendo paura e demoralizzazione, si mise alla stanga, decisi a contribuire alla ricostruzione ed alla rinascita del Paese. Quando questo lieto fenomeno prese corpo io riflettei sul fatto che siete nati nel 1975. Anche quello fu un anno durissimo per il nostro Paese, oggettivamente più duro del 2005, ma moralmente ed intellettualmente meno depresso. Ed anche allora il punto di svolta decisivo fu rappresentato dal cambio del governatore della Banca d’Italia, con l’assunzione di questa responsabilità da parte del grande galantuomo Paolo Baffi, esempio di indipendenza, al quale anche la vostra generazione deve essere molto grata, anche se non lo ha conosciuto.
Un altro grande punto di svolta si verificò nel 2010 e fu quando il 31 maggio di quell’anno (il maggio è sempre un mese cruciale) la Chiesa che, proiettata in una prospettiva mondiale era da tempo riservata sulle vicende italiane, di fronte all’incalzare degli avvenimenti, si decise a lanciare a Milano una grande processione per pregare Dio di aiutare la Lombardia a liberarsi dalla “cultura” dei lumbard. La processione, guidata dall’arcivescovo, aperta da una selva di croci processuali e dai più bei gonfaloni di Milano, fu seguita da una folla immensa. I lamenti delle prefiche si alternavano a preghiere e inni sacri. Molte persone, sia nella processione che ai bordi della stessa, chiedevano perdono e molti si inginocchiavano implorando che Milano e la bella e, un tempo, civilissima Lombardia venissero liberate da questa peste. La processione dopo aver percorso tutta la città per ore e ore, ritornò sul sagrato del Duomo e fu proprio sull’apposito palco installato al centro dello stesso che salirono i messaggeri, appositamente inviati in Cina e in India, ed appena ritornati, che pur affaticati dal lungo viaggio, portarono, con voce forte e chiara, la novella che i cinesi e gli indiani non mangiano i bambini e che, anzi, gli ingegneri indiani sono bravissimi e che era meglio importarne qualche migliaio, per rimediare al buco aperto dalla riforma Berlinguer-Moratti (con l’occasione si cambiò la suicida regolamentazione che rendeva difficile l’ingresso in Italia di ricercatori, grandi tecnici, artisti, persone  in genere di alta professionalità). Questa antica e liberatoria liturgia, contribuì grandemente a ricostituire la fiducia e riaccendere la speranza, fiducia e speranza che sono il vero fondamento dell’attuale buona situazione.

In una prossima lettera
Le scriverò per riflettere sulle cose da fare per evitare di cadere in un baratro di stupidità ed immoralità simile a quello in cui eravamo caduti nel 2005.
Buon lavoro.

Suo, Marco Vitale

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