A lezione di logica da Sherlock Holmes
L'attore Benedict Cumberbatch nei panni di Holmes in "Sherlock - L'abominevole sposa", nei cinema italiani dal 12 al 13 gennaio 2016

A lezione di logica da Sherlock Holmes

Andrew J. Lees, neurologo londinese, spiega perché leggere i gialli di Conan Doyle ci insegna a ragionare

di Adalgisa Marrocco

L'attore Benedict Cumberbatch nei panni di Holmes in "Sherlock - L'abominevole sposa", nei cinema italiani dal 12 al 13 gennaio 2016

L’attore Benedict Cumberbatch nei panni di Holmes in “Sherlock – L’abominevole sposa”, nei cinema italiani dal 12 al 13 gennaio 2016

Leggere Sherlock Holmes contribuirebbe allo sviluppo delle nostre capacità cognitive. È quanto sostiene Andrew J. Lees, neurologo londinese che, all’inizio della sua carriera, si era visto consegnare da uno dei suoi superiori una particolare lista di letture consigliate, tra cui spiccava la raccolta completa del canone holmesiano. Lees ha dedicato un interessantissimo articolo al metodo di ragionamento dell’inquilino del 221B di Baker Street, sottolineandone i punti di forza e le potenzialità “didattiche”.

Si dice che Sir Arthur Conan Doyle, medico e scrittore, abbia in parte modellato la figura di Holmes su Joseph Bell, suo professore universitario dallo straordinario acume diagnostico. Non a caso, il consulente investigativo di Baker Street è un campione nell’arte dell’abduzione, logica che va dall’effetto alla causa. Eppure Andrew Lees sospetta che, creando il personaggio, Conan Doyle potrebbe aver attinto anche dalle personalità di altri medici, anzitutto da quella di William Richard Gowers (1845-1915), padre della neurologia britannica.

Non si hanno prove di una diretta conoscenza tra Conan Doyle e Gowers, ma si sa per certo che il creatore di Holmes avesse conseguito un dottorato in malattie neurodegenerative e che, con l’eminente neurologo, condividesse l’amicizia dello scrittore Rudyard Kipling.

D’altronde, Gowers e Holmes risultavano prediligere entrambi un metodo di osservazione privo di pregiudizi. Per questo, in Uno scandalo di Boemia Sherlock Holmes ammonisce Watson : “Lei vede, ma non osserva. La differenza è lampante”. Il criterio comune al medico e al consulente investigativo appare senz’altro vincente. Non a caso Itiel Dror, neuroscienziato cognitivo dell’University College di Londra, ha potuto documentare numerosi casi in cui esperti in medicina e scienze forensi hanno permesso ai preconcetti di ottenebrare in maniera decisiva il loro giudizio, anche in situazioni di vita o di morte.

Osservando i metodi di Gowers, Conan Doyle avrebbe tratto ispirazione per il metodo abduttivo di Sherlock Holmes e per il valore attribuito al riconoscimento degli errori. “È sempre piacevole avere ragione, ma è generalmente molto più utile sbagliarsi”, scriveva Gowers, mentre in una delle sue avventure Holmes ammette: “Confesso di essere stato cieco come una talpa, ma è meglio apprendere tardi che non imparare mai.” Ecco un’ulteriore ragione per cui leggere le storie di detection create da Conan Doyle ci insegna a pensare.

In definitiva, Andrew Less afferma che, qualunque sia stata l’esatta influenza esercitata da Gowers su Conan Doyle, il dato più importante rimane la lezione di logica impartitaci da Holmes. Finanche la più sofisticata tecnologia non potrà mai sostituirsi alle competenze prodotte dall’osservazione. Lees, riferendosi all’ambito medico, afferma che l’ospedale “è ancora una scena del crimine”, i cui misteri necessitano dell’intervento delle più brillanti intelligenze.

Se perfino la scienza ha ancora bisogno di Sherlock Holmes, come possiamo noi lettori lasciarci sfuggire una lezione di logica tanto efficace?

 


 

Il pezzo prende spunto dall’articolo What Sherlock Holmes taught us about the mind di D. Robson, apparso su BBC Future

About Adalgisa Marrocco

Nata in provincia di Latina il giorno di San Valentino del 1991. Firma di politica e bioetica per diverse testate on-line, raccontatrice per Edizioni La Gru col libro “Supermarket e altri racconti indigesti”, traduttrice, sempre politically scorrect.