I FONDI DEL MADE IN ITALY ALLA SCUOLA DI DIRITTO TRIBUTARIO, UNA TREMONTATA DA SMONTARE

articolo

Fra
le trovate più geniali del duo
Tremonti–Fortunato – fedele Capo di gabinetto e braccio destro
dell’ex ministro dell’economia nel governo dei 22 condoni premiato
adesso con la nomina a Capo di gabinetto e braccio destro di Di Pietro
nel governo Prodi – c’è l’affidamento alla Scuola superiore
dell’economia  e finanze dei fondi per promuovere il Made in
Italy. Lesinati alle ambasciate (70 mila euro per tutte) ma elargiti
con larghezza (5 milioni l’anno) a un ente che non ha alcuna tradizione e
professionalità da far valere in questo campo e che era in pratica un
ricco stipendificio per collaboratori ed ex collaboratori di
Tremonti – a cominciare, ovviamente, dallo stesso Fortunato e dalla sua
numerosa rete di amici e sodali. Per mantenere questo
stipendificio i fondi della scuola sono stati addirittura raddoppiati
nel 2006 – portandoli a quasi 40 milioni di euro – proprio mentre tutte
le strutture
ministeriali subivano ridimensionamenti. Uno sperpero di
denaro pubblico a cui si dovrebbe mettere fine al più presto
di Antonio Biavati
Si racconta che un giorno Enrico Berlinguer,
mentre si stava recando di buon’ora in ufficio, fu avvicinato da un
netturbino, che senza dire una parola gli porse il suo scopettone. Un
invito metaforico a fare pulizia. Lo stesso invito che un suo ipotetico
successore potrebbe fare oggi, se incontrasse i vertici dell’economia e
delle finanze. Al di là delle cose gravi che stanno emergendo ai
Monopoli e dintorni – cose che non avremmo mai voluto leggere e che ci
auguriamo vengano smentite al più presto – ci
sono infatti degli angoletti nei quali, sollevando un po’ il tappeto
rosso, sarebbe il caso di passare l’aspirapolvere. Uno di questi è
sicuramente la scuola superiore dell’economia  e delle finanze.

 

La regalia

Siamo nell’autunno del 2003 quando si fa strada la necessità di
sostenere meglio il made in Italy, sia attraverso azioni promozionali
vere e proprie sia mediante una più severa tutela del marchio dalle
crescenti imitazioni e manipolazioni. Viene istituito allora con la
Finanziaria 2004 presso il Ministero delle attività produttive un
apposito Fondo dotato di 20 milioni di euro per il 2004, 30 milioni per
il 2005 e 20 milioni per il 2006. Tutto bene, tranne il fatto che una
parte cospicua di queste risorse (5 milioni l’anno) viene scippata al
povero Marzano e dirottata, a sorpresa, alla Scuola Superiore
dell’economia e delle finanze, “per l’attuazione delle attività di
supporto formativo e scientifico indicate nel periodo precedente”.
Francamente non si capisce perché, invece di affidare questi fondi alle
istituzioni competenti in materia di commercio con l’estero, li si
consegni a una scuola che ha come missione quella di “formare,
specializzare e aggiornare il personale dell’amministrazione
finanziaria, delle agenzie fiscali e degli enti che operano nel settore
della fiscalità”
e che non ha alcuna tradizione e professionalità da
far valere in questo campo.
Se lo domanderebbero in tanti, e allora per
evitare problemi la scuola furbescamente non viene indicata nella
Finanziaria per nome e cognome ma con la solita circonlocuzione usata
in legalese quando si vuole gettare fumo negli occhi dello sprovveduto
lettore: “l’ente di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 30 
luglio 1999, n. 287”. Tipico malcostume legislativo, espressione di
disprezzo verso l’opinione pubblica e il Parlamento, di cui nessuno
purtroppo viene chiamato mai a rispondere. Ma quello che conta è il
fatto che queste ingenti risorse vengono fatte piovere su una
istituzione presieduta, non a caso, dallo stesso capo di gabinetto del
ministro che presenta la legge. Un’istituzione che dovrà cominciare da
zero questa attività, creando una nuova sezione e adeguando le sue
dotazioni organiche, cioè dotandosi di nuovo personale e soprattutto di
docenti da pagare profumatamente.

Dare fingendo di non dare

Un’operazione non certo a basso costo perché al personale che dovrà
occuparsi di questa attività spetteranno, precisa la legge, “gli
incrementi e gli adeguamenti sul trattamento economico complessivo in
godimento secondo l’ordinamento di provenienza e il riconoscimento
automatico della progressione in carriera”.

Da notare – facciamo questa precisazione a beneficio degli studiosi
della comunicazione politica – che nella legge queste concessioni, di
cui tra un po’ cercheremo di mostrare l’importanza, non sono presentate
per quello che sono ma vengono indicate per inciso, con la solita
furbizia da venditori di cammelli, come fossero dettagli irrilevanti da
dare per scontati. Si dà fingendo non di dare  ma solo di riconoscere 
benefici che già ci sono – come suggerisce la formula “fermo restando che”
– e concludendo con un’affermazione rassicurante – “nessun emolumento
ulteriore è dovuto”- che vuole dare l’idea che si sta risparmiando
mentre invece si sta spendendo. Interessante artificio linguistico,
presentare in negativo un provvedimento positivo in modo da indurre
tranquillità. Prenderanno una barca di soldi ma poi non gli spetterà
altro, non vi preoccupate.

Nella convinzione che non si riuscirà a utilizzare per intero queste
risorse si prevede anche che i 5 milioni annui, in caso di mancato
utilizzo, saranno riassegnati alla Scuola nell’anno successivo. Tanto
per il made in Italy non c’è fretta.

Costi e prebende

Puntualmente, anno dopo anno, i fondi destinati al Made in Italy
compaiono tra le risorse assegnate alla Scuola. La Direttiva generale
per l’azione amministrativa di Tremonti per il 2004, tra le risorse
finanziarie dell’ente indica espressamente i 5 milioni di euro della
Finanziaria 2004; la Direttiva del 2005 del nuovo Ministro Siniscalco
riassegna alla scuola 3.278.582 euro quale avanzo di amministrazione
2004, cioè somme non impiegate della precedente Finanziaria. Infine la
Direttiva del 2006 assegna alla Scuola  ben 10 milioni di  euro per
“progetti speciali” consistenti in “attività di formazione e studio per
favorire la competitività del made in Italy.”

In realtà, come conferma anche un dossier circolato riservatamente nei
piani alti dell’amministrazione di cui Contrappunti ha potuto avere
copia, il Made in Italy con la scuola non ci “azzecca” proprio niente,
è solo un problema di gestione o meglio cattiva gestione di risorse

pubbliche. Mentre la scuola – lo abbiamo già denunciato in altre
occasioni – è diventata un feudo personale di chi gestiva il vero
potere a Via XX Settembre, e cioè il capo di gabinetto di Tremonti e
nel contempo non a caso rettore e docente della Scuola stessa, Vincenzo
Fortunato.  

Ma quanto costa questo feudo?
I costi della Scuola erano previsti
complessivamente in 25 milioni di euro per il 2004 e in quasi 21
milioni per il 2005. La cosa eclatante è che per il 2006 – tempo di vacche magre – è prevista
addirittura un’esplosione: 39.903.818 euro, che rappresentano quasi un
raddoppio delle risorse assegnate l’anno precedente; e questo mentre
tutte le altre strutture pubbliche e in particolare quelle del
Ministero dell’Economia hanno subito forti ridimensionamenti. Ma queste
cifre non dicono ancora tutto: sono parziali e nascondono costi molto
più alti. Non comprendono infatti gli oneri della quasi totalità dei
circa 140 dipendenti amministrativi, che gravano sugli organismi da cui
questo personale è distaccato. E’ interessante notare che fra il 2004 e il 2005
scompare la voce (5,5 milioni) dei “progetti speciali” ma, in compenso,
aumentano di oltre il 30 per cento i costi del personale (7,5 milioni
di euro nel 2004, 9,7 milioni nel 2005). Nel 2006 i costi del personale
rimangono fermi a 9.7 milioni ma i docenti scendono da 30 a 20, almeno
stando a quanto risulta dal sito della scuola ssef.it.
Per capire cosa comprende la voce “personale” bisogna andare per sottrazione: non
comprende, come abbiamo già visto, i costi del personale
amministrativo, ma non comprende neppure quelli dei docenti a
contratto
, poco meno di un centinaio, che gravano sulla
voce “Didattica” (3,5 milioni di euro). I 7,5 milioni di euro del 2004
e i 9,7 milioni del 2005 e del 2006 sono solo il costo che la scuola, e
i contribuenti italiani, sopportano per superpagare una particolare
categoria di dipendenti, e cioè i docenti stabili gratificati con
stipendi che arrivano a tre volte quelli dei docenti universitari
ordinari.

Meccanismi geniali

In base al regolamento della scuola, è previsto che il trattamento dei
docenti stabili debba garantire la conservazione del trattamento
economico “complessivo” di provenienza. Ciò significa che tutto ciò che
il docente guadagnava in precedenza  – tra stipendio base, indennità e
accessori di vario tipo quali la partecipazione a Comitati e
commissioni – viene cumulato per determinare il trattamento complessivo
erogato dalla scuola.

A sua volta  lo stipendio dei magistrati in
servizio presso  il ministero dell’economia è agganciato a quello dei
dirigenti: nel caso di Fortunato, l’aggancio è stato effettuato al
trattamento più alto del ministero ossia quello di cui fruiva
Siniscalco prima di diventare ministro, circa un miliardo delle vecchie
lire. A quanto riferisce il dossier di cui abbiamo parlato,  lo
stipendio base di docente pagato dalla scuola a Fortunato
comprenderebbe dunque il suo stipendio di capo di gabinetto più  tutti gli
accessori da lui percepiti per la partecipazione ai vari Comitati e
Commissioni di cui abbiamo dato nei precedenti articoli un elenco
sicuramente incompleto.

Ma non basta, perché allo stipendio di docente
così determinato si deve poi aggiungere un’indennità di funzione che
arriva a 130.000 euro per il rettore, 90.000 per il prorettore, 75.000
euro per i capi dipartimento e 60.000 euro per i docenti.  

Questo meccanismo spiega come si arriva ai 7,5 milioni di euro spesi
nel 2004 e ai 9,7 del 2005. Si attende di vedere cosa succederà nel
2006.

Da notare che la scuola, per non farsi mancare niente,  è
riuscita anche a farsi riconoscere in organico alcuni posti di
ricercatore e ne ha sinora immessi in ruolo sette. Tra questi spicca il
nome di Raffaella Leone – figlia, a quanto si dice, dell’on.le Antonio
Leone, già vice capo gruppo di Forza Italia alla Camera – che appena
laureata è stata nominata dirigente presso la scuola e successivamente
ha vinto il concorso per ricercatori. Anche per lei si è cercato di far
valere il meccanismo dei professori, in modo da consentirle di portarsi
dietro il vecchio stipendio (incarico a tempo) nel nuovo impiego a
tempo indeterminato. Non sappiamo se il progetto sia andato a buon
fine, ma tutto lascia credere di sì. Anzi, a detta dei bene informati,
la dr.ssa Leone avrebbe fatto ulteriori passi in avanti negli ultimi
giorni in cui alle finanze era al comando il duo Tremonti-Fortunato,
ottenendo la nomina di dirigente di seconda fascia con contratto di
cinque anni e l’assegnazione all’ufficio legislativo del Ministero.

Chi sono i beneficati
Tra i beneficati dei
super-generosi trattamenti previsti per il personale docente ci sono,
in primis, il
rettore della Scuola e contemporaneamente docente, Vincenzo Fortunato e
la sua seconda moglie, Paola Palmarini, diventata funzionaria
dell’ufficio legislativo all’epoca in cui questo era diretto dallo
stesso Fortunato e da lì, dopo un intervallo a Bruxelles, catapultata
nel corpo docente della scuola. Ci sono la sorella dell’on.le Alemanno
di An, in aspettativa perchè impegnata ai Monopoli quale dirigente
responsabile
delle strategie in affiancamento del Direttore generale Giorgio Tino e
come collega della di lui moglie Anna Maria Barbarito, ci sono numerosi
magistrati e finanzieri
plurititolari di incarichi all’ombra dello stesso Fortunato dei quali
la nostra rivista ha già avuto modo di occuparsi in precedenti articoli:
Gaetano Caputi,
docente e capo dipartimento della Scuola, contemporaneamente vice capo
di gabinetto di Tremonti e ora capo ufficio legislativo del ministero
delle infrastrutture, Marco Milanese, ex Guardia di Finanza e
contemporaneamente capo della segreteria di Tremonti, Francesco
Tomasone,
prorettore della Scuola e tuttora contemporaneamente presidente del
Servizio di controllo interno incaricato di controllare la scuola
stessa,
anche questo succede, e da ultimo capo ufficio legislativo del
ministero del lavoro in questo governo, Marco Pinto, consigliere di
Stato, già
capo ufficio legislativo con Tremonti e Siniscalco, già Capo di
gabinetto
di Follini e ora vice capo di
gabinetto con Visco ma anche responsabile
del Dipartimento Economico della scuola e, nello stesso tempo,
consigliere di amministrazione dell’Eni (pare su designazione UDC)
oltre che della Demanio Spa diretta dalla moglie di Follini, Elisabetta
Spitz. 

Conclusioni

Per concludere questo sommario rendiconto sul modo in cui è stato
esercitato il potere nei corridoi delle finanze al crepuscolo dell’era
Tremonti – ma non dell’era Fortunato, che è presente e lotta con noi –
ci limitiamo a osservazioni telegrafiche su quattro punti.

1. Il made in Italy

Sembra che la scuola abbia fatto poco o niente per assolvere i compiti
che la Finanziaria ha finto di assegnarle in materia di tutela del Made
in Italy. Almeno, dal sito ufficiale ssef.it nulla si evince al
riguardo. Ma anche se così non fosse – e ci sarebbe molto da stupirsi –
si tratta pur sempre di un’attività che la scuola non ha le competenze
per svolgere. E non sono competenze che si inventano da un giorno
all’altro. La promozione e la tutela delle produzioni italiane vanno
affidate agli specialisti e non certo ai formatori di
materie fiscali e tributarie. Quella della finanziaria del 2004 è una
decisione clientelare e sbagliata. Le risorse indebitamente assegnate
alla scuola a questo titolo le vanno tolte e riassegnate a
qualcun’altro che sia in grado di utilizzarle realmente e farle

fruttare.

2. Le prebende
Il meccanismo escogitato per
gonfiare gli emolumenti dei docenti della
scuola dell’economia e delle finanze non sta né in cielo né in terra.
Nessuna istituzione paga quelli che vengono a lavorare al suo interno
in ragione del totale dei loro precedenti guadagni. Può farlo un
privato che desidera strappare a un concorrente dei manager cercati
attraverso  i cacciatori di teste, non certo un’azienda pubblica o
semipubblica. Non può farlo, ad esempio, neanche la Rai, che rinunciò
ad assumere Paolo Mieli come presidente perchè non poteva dargli uno
stipendio pari a quello che riceveva come amministratore Rcs. La regola
è che lo stipendio è quello che è, se ti sta bene vieni, se non ti sta
bene resti dove sei. Il meccanismo gonfia-stipendi che ha consentito a
Fortunato e C. di incassare emolumenti di gran lunga superiori a quelli
spettanti al Presidente della Repubblica va quindi al più presto
cancellato.

3. Il lavoro

Ma quanto lavorano i professori della scuola, così ben remunerati?
Poco, secondo le voci che circolano nell’ambiente. I docenti stabili
dovrebbero svolgere, per regolamento, almeno cinquecento ore di
insegnamento annuali, ma è ragionevole dubitare che molti tra loro, con
tutti gli infiniti incarichi espletati, possano averle effettuate. Forse
un Commissario che venisse nominato dal nuovo governo per mettere
ordine e ripulire gli angolini potrebbe accertarlo.

4. L’ex rettore

Da ultimo due parole sull’ex rettore Vincenzo Fortunato, già capo di
gabinetto e braccio destro di Tremonti nel governo dei 22 condoni e nel
contempo  rettore e docente della Scuola, oggi premiato (ci sembra di
averlo già detto ma forse conviene ripeterlo) con la nomina a capo di
gabinetto e braccio destro di Di Pietro nel governo Prodi.

Sappiamo che il Versatile ha tempestivamente dato le dimissioni dall’incarico di
Rettore della scuola al momento del cambio di governo ma – come risulta
anche dal sito ssef.it – ha conservato quello di docente. Perde così
70.000 euro/anno di indennità di funzione, per lui un niente (argent de
poche
, direbbe l’impagabile principe di Savoia). Mantiene però il megastipendio
calcolato nel modo che abbiamo visto. Non abbiamo niente contro questo
personaggio, anzi siamo grandi ammiratori delle sue capacità di
ubiquitare da un incarico all’altro, un gabinetto all’altro, un governo
all’altro. Tuttavia riteniamo che la sua presenza presso la scuola
tributaria dovrebbe avere ormai fatto il suo tempo. L’amministrazione
finanziaria ha già avuto abbastanza da lui, soprattutto come esempio di
disinteressato spirito di dedizione e sacrificio, forse a questo punto
potrebbe, sia pure a malincuore, farne a meno. Staremo a vedere.

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