Lo spettacolo Come le cose vanno è andato in scena l’1 e il 2 ottobre scorsi presso il teatro Petrolini di Roma per la rassegna Comicoff giunta alla sua nona edizione.
Testo di Adele Bilotta, regia di Matteo Magazzù, in scena la stessa autrice e Sofia Morabito che interpretano rispettivamente Caterina e A, la coscienza di quest’ultima. Inizia il racconto della vita di questa ragazza con tutti i suoi protagonisti: i genitori, l’una super cattolica, l’altro comunista, il fratello, il lavoro, il coinquilino e così via. Caterina e la sua coscienza, sono il giorno e la notte e, come in un dipinto caravaggesco, l’una racconta le luci della storia, l’altra le oscurità e le ombre. Questo permette alla storia di prendere tridimensionalità e concretezza. La scenografia e gli oggetti sono molto semplici e ci lasciano il giusto spazio per accendere la nostra immaginazione tanto sacrificata e quasi annientata dalla vita di tutti i giorni.
Quante volte ci capita di andare a teatro e non avere più la possibilità di usare l’immaginazione perché c’è sempre questo sotterraneo conflitto con il cinema; allora la narrazione si affolla di video, effetti speciali, nuove tecnologie che troppo aggiungono a questa arte che in tempi antichi si serviva di pochissimo per far entrare lo spettatore in un altro mondo. Se, da un lato, è bene che il teatro dialoghi con i nuovi linguaggi, dall’altro, al pubblico piacerebbe tanto tornare a scavare nel suo mondo interiore troppo poco esplorato e nutrito dalla vita di tutti i giorni e da questi maledetti cellulari che sembra ce li abbiano cuciti sulle mani.
Per come le cose vanno fa della semplicità il suo baluardo e ci restituisce il meraviglioso potere di attivare i ricordi e l’immaginazione. Così, una giacca di pelle diventa il coinquilino di Caterina che tanto ci ricorda il nostro amico geniale ai tempi dell’università, un rosario ci riporta indietro nel tempo a quando mamme, zie e nonne snocciolavano santi con questo oggetto tra le mani, guardando fuori dalla finestra, mentre sui fornelli cuoceva una minestra di verdure. Le due attrici continuano il loro racconto e a tratti abbiamo l’impressione di confonderle, di non capire più se sta parlando l’una o l’altra.
La storia di Caterina è semplice e lineare e troppo somiglia al racconto di un’intera generazione, di noi trentenni, che guardiamo avanti ma non vediamo un futuro, che ci siamo così tanto abituati alla precarietà che conosciamo tutti i segreti per vivere nel qui e ora. Eppure ci ritroviamo, comunque, a non svendere i nostri valori e a non avere paura di un futuro così incerto. Siamo anche noi Gemelli ascendente Leone, proprio come Caterina.
