YES THEY CAMP

(11.7.09) A summit G8 concluso – chissà se saranno ricordati di più dalla storia gli impegni per il clima e contro la fame nel mondo o le occhiate maliziose di Obama, le tentate strette di mano di Berlusconi o le gag con la Pezzopane – può essere utile per una riflessione questo scritto di G. C. Marchesini, diario breve di un suo privato “viaggio della memoria” nell'Abruzzo vero della gente in occasione della manifestazione dei no-global, ricordando le esperienze di volontariato da lui vissute nel 1968 nella Valle del Belice e nel 1980 in Basilicata e Irpinia. Questa volta si sta facendo di più, non c'è dubbio. Ma certo – tanto per fare un esempio – dare una laurea honoris causa alla memoria dei ragazzi che hanno perso la vita nel crollo della Casa dello Studente non è il modo giusto per scaricarsi dalle responsabilità per quello che si sarebbe potuto fare per salvarli e non si è fatto.
di Gian Carlo Marchesini

Il sette luglio, il percorso in auto verso L’Aquila evoca l’immagine di una cerimonia di stampo militare: la parata delle forze armate in bella mostra. A distanza ravvicinata, lungo tutto il tratto autostradale tra Roma e il capoluogo dell’Abruzzo, mai visto tanti mezzi di carabinieri, finanza e polizia schierati in bella evidenza a ogni ingresso e uscita e cavalcavia, oppure sfreccianti a luci e sirene attive. “Noi siamo qui, siamo forti, abbiamo il controllo assoluto della situazione!” è l’evidente messaggio. Dove poi sia tutta questa minaccia da fronteggiare non si capisce: a meno che non si voglia distogliere l’attenzione da dove essa effettivamente risiede.

A L’Aquila sono accolto dall’ennesimo temporale che contribuisce a rendere la vita di chi vi sta sotto una tenda ancora più inospitale e misera. Alla tenda che copre l’area del campo di pallacanestro del ParcoUnicef ti accoglie gigantesca una scritta genialmente ironica: Yes We Camp – e le tende predisposte lungo il campo per la notte sono lì ad attestarlo. La notte precedente c’è stata la fiaccolata, da mezzanotte alle 3,32 a ricordo di quei minuti infernali, alla quale hanno partecipato in tremila a sfilare intorno e dentro il centro storico fin davanti a ciò che resta della Casa dello studente. Lì genitori e famigliari dei ragazzi morti sotto un edificio che non sarebbe dovuto crollare hanno sostato piangendo e gridando uno per uno i nomi dei loro cari scomparsi. Sono gli stessi che hanno rifiutato l’ipocrisia del conferimento della laurea post mortem, e che invece chiedono con forza che i responsabili paghino.

Sotto il tendone del Parco Unicef
si alternano durante il giorno ad ascoltare e a intervenire diverse centinaia di persone. C’è una bella atmosfera malgrado i temi trattati non siano allegri, ci sono i giornalisti con i loro strumenti, giovani e anziani, donne e uomini ad ascoltare, commentare e applaudire gli esponenti del presidio di Chiaiano e del No Dal Molin, dell’Abruzzo Social Forum e dei comitati irpini. Tra i tanti, intervengono Pierluigi Sullo di Carta e Gabriele Polo de Il manifesto, Gianni Rinaldini segretario generale Fiom CGIL e padre Alex Zanotelli con la sua voce soave e le parole sferzanti. Abbiamo ascoltato il sociologo argentino che ha raccontato di come, dopo la rovinosa crisi economica del 2001, ben 200 siano state in Argentina le fabbriche che hanno ripreso a produrre gestite dagli stessi lavoratori associati in cooperativa, e l’economista del gruppo A Sud che ha fornito chiave di lettura di come le lotte degli indios del Chapas e quelle dei comitati di Chiaiano e di Vicenza, come dell’Aquila, siano unite dal rifiuto dell’espropriazione e dello sfruttamento delle risorse del loro territorio da parte di forze esterne nemiche.

Tra le parole più ripetute e con forza
affermate: democrazia dal basso, controllo e partecipazione, etica della terra, giustizia e rispetto dell’ambiente, solidarietà e condivisione. All’improvviso, dal nulla, è spuntato un esponente dei comitati aquilani organizzatori del convegno che reggendo in equilibrio un enorme vassoio ha offerto bicchierini colmi di frutta di bosco ai partecipanti. Gratuito, sorridente, silenzioso e lieve: e poi così come è venuto è scomparso. A L’Aquila la sera si organizzano spettacoli teatrali di riflessione sui temi legati al terremoto e alla ricostruzione accompagnati da canti, chitarre e rulli di tamburi, si partecipa del cibo sostanzioso e saporito in tende mensa auto organizzate, si ha cura di non disturbare o sporcare, di lasciare tutto in ordine e pulito. E ognuno contribuisce con quello che ha e può. Ci sono gli studenti di architettura che si applicano a imparare il senso e le funzioni e la forma di un modello di città che sia reale risposta ai bisogni e alle attese della gente che vi abita e che la vuole ricostruita a misura. Ci sono cooperatori, sindacalisti, sociologi, psicologi e politici che hanno modo di riflettere sul campo su come riorganizzare e rimettere concretamente con i piedi per terra le loro funzioni, professionalità e competenze. L’emergenza e la sofferenza e le necessità impellenti del dopo terremoto cavano fuori la sostanza vera di ognuno, dei gruppi e delle associazioni, delle comunità e dell’intera collettività. Intorno alla violenza terrificante dei crolli e delle macerie si aggregano le energie migliori, il soccorso, la solidarietà e la voglia di riscoprire il senso della propria vita, di portare un qualche aiuto a chi se l’è vista minacciata e ferita.

Vengono in mente situazioni analoghe vissute dopo altri devastanti terremoti, nel 1968 nella Valle del Belice e nel 1980 in Basilicata e Irpinia. Anche là le parole d’ordine non erano diverse: Danilo Dolci e Lorenzo Barbera lottavano con i loro comitati di base contro speculazione e burocrazia, contro una visione del potere politico calato dall’alto (I ministri dal cielo, era il titolo del libro di Lorenzo Barbera pubblicato a consuntivo). Così come i comitati di lavoro politico democratico e dal basso attivi in Irpinia volevano impedire speculazioni e truffe, espropriazioni ed espulsioni. Nella sciagura collettiva di un territorio distrutto e da ricostruire si aggiravano lupi spietati e soccorrevoli cani san bernardo, iene voraci e tenaci muli da soma. La crisi economica come la ricostruzione post terremoto possono essere occasione di arricchimento speculativo per pochi come scoperta che un modo diverso di lavorare e vivere insieme è possibile. E si apprendono più cose sulla natura umana, i suoi istinti e bisogni, sui fenomeni sociali e i processi economici in situazioni di emergenza e crisi, di quanto non avvenga leggendo tanti enciclopedici libri. Perché è lì che si apre lo spazio e l’ opportunità per allestire laboratori sociali di ripartenza e organizzazione più giusta della vita di quanto sia possibile trovare nelle situazioni normali. Lì c’è la scuola e l’università della vita, perché è continuamente e radicalmente in gioco tutto. Ecco forse il motivo vero di quell’esibizione di forza militarizzata lungo l’autostrada, inutile ed esibita contro una immaginaria minaccia: perché così è vissuta la speranza e la voglia di chi vuole tentare un modo diverso e alternativo di abitare, lavorare e vivere.

Una interessante riflessione finale è stata offerta da Sergio Ciancaglini, il sociologo argentino, che ha osservato: avete presente l’immagine del pensatore scolpito da Rodin? E’ la statua di un uomo nudo, vecchio, la mano a reggere il mento, la postura del corpo contratta , l’espressione cupa. L’arte del pensare viene lì rappresentata come arte essenzialmente razionale, individuale e solitaria, sostanzialmente infelice. Perché invece non concepirla e reinventarla come dinamico slancio gioioso del corpo intero, nessuna delle sue parti e funzioni esclusa, che si apre nel confronto con la comunità? Ecco, è a quel punto che è apparso sorridente il donatore di frutti di bosco. Ci sarà stata tra le quinte una accorta regia?

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