LA FORMULA DEL POTERE. OVVERO PERCH? ?DOBBIAMO? SOTTOSCRIVERE IL REFERENDUM ELETTORALE

l'urna elettorale strabica

Hannah Arendt diceva: "Un popolo che non ha memoria è costretto a ripetere gli stessi errori del passato". Non pensava agli italiani, ma a posteriori si può dire che la frase, di valore assoluto, pare fatta apposta per i cittadini dello Stivale. Come è dimostrato dalla resistibile ascesa del Cavaliere, al potere da almeno 15 anni, anche quando è all’opposizione, grazie in fin dei conti agli italiani, dimentichi della esperienze negative della prima Repubblica e dei pessimi risultati dei Berlusconi-uno e due.  
Cosa ci attende, allora? Non molto, ma qualcosa sì. Per esempio, come suggerisce Gino Nobili, una soluzione ad alcuni dei problemi che abbiamo è rappresentata dall'adesione – che Contrappunti fa propria – al referendum sulla legge elettorale. L'unico mezzo per “capovolgere il tavolo” di una classe politica capace soprattutto di tutelare se stessa.
Articolo di Gino Nobili
 
Il senso etimologico della politica è gestione comune, interessata e informata, dei problemi della città/Stato in cui si vive. Non a caso nasce nella prima civiltà che aveva a disposizione un sistema di scrittura relativamente semplice: senza alfabetizzazione, in una società in cui la cultura viene tramandata oralmente dallo “sciamano”, non è possibile la percezione di un passato diverso dal presente, e quindi l’immaginazione di un futuro diverso dal presente.
 

Dalla crescita culturale deriva una curva di interesse alla politica da parte di settori sempre maggiori della popolazione che parte dal secolo dei Lumi e raggiunge il suo vertice di parabola negli anni '60 e '70 del secolo scorso. Poi il declino, coincidente con l’iperbolica affermazione del medium televisivo, più affine alla struttura logica della cultura orale e del potere sciamanico che alla rappresentazione dialogica della realtà derivante dalla scrittura e dall’acculturamento. Il fenomeno non può essere casuale, e infatti non lo è: studiano la comunicazione anche coloro che intendono servirsi della coscienza dei suoi meccanismi a scopo manipolativo, anzi soprattutto costoro. Se non ci crediamo, rileggiamoci i piani di Gelli. La ricetta è semplice: da un lato avviare un prepotente processo di “disalfabetizzazione”, dall’altro mettere le cose in maniera che anche quelli che nonostante tutto continuano ad interessarsi di politica ne vengano progressivamente disgustati. Se ho fatto le cose per bene, avrò un blocco di potere compatto e inattaccabile, in quanto ancora si definisce “democratico”.
Filosofia della politica: la struttura del potere e le sue forme ideologiche
Volgarizzando al massimo (speriamo non troppo) il pensiero di Giulio Maria Chiodi, uno dei padri della filosofia della politica in Italia, possiamo dire che stringi stringi il Potere, in qualunque società umana si manifesti, ha sempre la medesima struttura elementare, che si può esprimere nella formula
 

P

=

D

S

 
dove P è appunto il Potere, D è il suo detentore, ed S è il sottomesso o suddito.
Se anche prendiamo il gruppo più semplice, ad esempio una famiglia nucleare, ci sarà sempre qualcuno che avrà il ruolo D e qualcuno il ruolo S. Certo, può avvenire che i ruoli si interscambino a seconda della “materia” (ad esempio, la possibile “tirannia” dei bambini sulla tv), ma l’evenienza non intacca il valore assoluto della formula. E certo le situazioni come la famiglia patriarcale classica in cui i ruoli sono ben predeterminati sono più “rassicuranti”, nonostante anche lì valesse in qualche caso la regola dell’interscambio. Il punto importante tuttavia non è stabilire chi comandi su chi, ma la consapevolezza che il potere esiste e funziona sempre. I problemi veri, infatti, cominciano quando si vuole far credere che la formula “nel nostro caso” non esiste: siamo una coppia davvero paritaria, tra di noi non comanda nessuno, anche coi figli prendiamo decisioni condivise. Si, come no! Il livello del dialogo, e la frequenza dell’interscambiabilità, sono irrilevanti: la formula del Potere è eterna e immutabile, e tenere conto di questa verità è l’unico modo serio per tentare di controllarla.
Fuor di metafora, e mantenendosi sempre sul filo del rasoio della semplificazione estrema, passiamo a parlare di sistemi sociali complessi, dove – esperimenti tipo polis a parte – regni e imperi si sono susseguiti nei secoli per lasciare lo spazio alle “democrazie moderne” solo in epoche recentissime. Ebbene, si può dire che il Detentore ha sostanzialmente tre modi per conservarsi in quella posizione:
  1. tenere i Sudditi nella convinzione che il mondo è sempre andato così e andrà sempre così (come nella cultura orale sciamanica);
  2. disporre di una certa dose di Forza Legittima, in misura significativamente superiore a quella diffusa in totale tra i Sudditi;
  3. disporre di un Sistema Ideologico tale da far credere ai sudditi che la struttura del Potere sia diversa da quella che è.

Ovviamente, i tre modi saranno utilizzati in un mix variabile a seconda del tipo di regime e del momento storico. Ma il punto 3 ha un’importanza crescente in maniera proporzionale all’aumento dell’alfabetizzazione e del benessere materiale tra i sudditi. Esso costruisce un’altra formula, che fa da velo a quella reale del Potere, disinnescando così in partenza la possibilità che i sudditi si organizzino per travolgerla. Nelle monarchie assolute, ad esempio, la formula ideologica era:

P

=

Dio

D + S

che si recita “il Potere viene da Dio che lo esercita tramite il Monarca legittimo che quindi ne è il mero tramite”. Si vede bene che la cosa è applicabile con poche modifiche a certe cleriarchie islamiche del giorno d’oggi.

La crisi della rivoluzione industriale
E’ la rivoluzione industriale che innesca un circolo “vizioso”: mentre i contadini vivevano sparsi sul territorio, i proletari sono vicini e parlano tra loro, e per mantenere il Potere su questi nuovi sudditi, peraltro così indispensabili all’arricchimento materiale, occorre concedere loro, non senza resistenze, un progressivo innalzamento delle condizioni materiali (di cui l’alfabetizzazione fa parte), che durante il Novecento subirà un’accelerazione dove e quando sarà evidente che l’arricchimento è in funzione della trasformazione del proletario in consumatore. Si affermano così, per vie diversamente contorte e violente, due nuove formule ideologiche, a sostituire quella dell’assolutismo non più buona allo scopo:

P

=

S

D

e

P

=

d

D + S

Quest’ultima è la formula del Socialismo Reale, dove d piccolo rappresenta i funzionari del Partito che nella fase di transizione verso la Dittatura del proletariato esercitano provvisoriamente il Potere ma a solo scopo funzionale (fare e attuare i Piani secondo cui si svolgerà il Progresso del Popolo), mentre “in realtà” tutti quanti dovrebbero essere insieme Detentori e Sudditi allo stesso tempo. La formula mantiene un certo livello di “trasparenza” rispetto alla struttura reale del Potere, e mostra la corda non appena le condizioni materiali scendono oltre un certo livello per tutti tranne che per d: a questo punto il mix di automantenimento deve rimodularsi a favore della Forza: è successo, lo abbiamo visto tutti.
Il velo “democratico”
La formula ideologica della democrazia è invece il massimo fino ad oggi concepito in quanto a “capacità di velatura”: fin dal nome del regime si afferma che la sovranità è nel Popolo, e i rappresentanti eletti sono, come sostiene Grillo, degli “stipendiati” del Popolo sovrano a svolgere un compito pratico di gestione. La sua forza sta nella sua elasticità intrinseca: consente, ad esempio, che tutti pensino e dicano quello che vogliono, o credono di volere, che tutti tentino di arricchirsi fino a quanto possono, o credono di potere, che tutti tentino di acculturarsi fino a quanto vogliono, o credono di volere. Persino, che ci sia una buona fetta di Sudditi che sappiano esattamente che in realtà il Potere ha una sua struttura ben diversa da quella ideologica della democrazia, e magari una stragrande maggioranza che lo sappia dentro di sé senza saperlo esplicitare teoricamente (“sono i soldi che contano, avere le amicizie giuste, i padrini politici”, eccetera, sono frasi di comune buonsenso). Questo, perché il mix degli strumenti di automantenimento del Potere in democrazia può variare e adattarsi al periodo storico e alla contingenza locale. In particolare:

  1. si è scientemente modificata la distribuzione culturale deviandola verso forme striscianti di cultura di tipo orale/sciamanica che per natura diminuiscono la progettualità eversiva (e fanno credere ai Sudditi di volere e potere quello che fa comodo ai Detentori)
  2. si creano scientemente occasioni per cui per semplice paura si invoglia i sudditi a cedere misure magari anche crescenti di Forza Legittima ai Detentori – e il paradigma si adatta sia alla forza militare (tramite il terrorismo da un lato, e l'esasperazione della cronaca nera dall’altro) che a quella economica (la precarizzazione, l’indebitamento diffuso e strisciante, l'invasione – vera o presunta – degli extracomunitari o dei prodotti cinesi)
  3. si è artatamente lasciato che crescesse la disaffezione alla politica, di modo che l’esercizio democratico si svuotasse progressivamente fino a lasciare il solo involucro, le elezioni più o meno libere (meno se si pensa al “capolavoro” dell’ultima legge elettorale italiana, in cui hanno in pratica deciso tutto le segreterie nazionali dei partiti).
Abbiamo alternative?
Messa così, pare non ci sia soluzione. E forse è vero, ma non è forse così anche la vita? C’è forse un modo di NON morire? No: bisogna. E se così non fosse, neanche sapremmo di essere vivi. La soluzione “ideologica” al Problema della Morte sono le miriadi di religioni nate assieme alle facoltà intellettive superiori dell’animale-uomo, tutte in un modo o nell’altro neganti a scopo consolatorio la verità evidente della finitezza delle cose. La soluzione reale, o quello che più vi si avvicina, per chi la vuole praticare invece c’è: è la consapevolezza di questa finitezza, e a valle di questa il tentativo quotidiano di arrangiare le piccole cose affinché siano le meno peggiori possibile. E’ meno affascinante di lasciarsi esplodere sperando di ritrovarsi nel paradiso islamico (tutto donne cibo e rock’n’roll, mica come il nostro…), ma è forse più utile. Non si può che riprendere, a questo proposito, l'aforisma di Popper: la democrazia è un cattivo sistema di governo, inutile illudersi. Ma non ce ne sono in giro di migliori. Noi Sudditi, dal denominatore, abbiamo una sola possibilità: sfruttare gli spazi che ci concede la forma ideologica democratica, e quindi lottare giorno per giorno per “arrangiare le piccole cose affinché siano le meno peggiori possibile”.
Scienza della politica: la legge elettorale e il Partito democratico
Volgarizzando al massimo (speriamo non troppo) il pensiero di Giovanni Sartori, uno dei padri della scienza della politica in Italia, possiamo dire che per la legge elettorale è come per le cartine geografiche: non ne esiste una perfetta, perché nel tentativo di riportare su due dimensioni quello che è su tre (e su una sfera, poi…) se tentiamo di essere molto fedeli sui meridiani ci perdiamo sui paralleli, se badiamo alle traiettorie ci perdiamo le aree, e così via. Per cui una legge elettorale strabica, che assicuri sia la governabilità che la rappresentatività, semplicemente non esiste.
Piccolo passo indietro: siamo consci che la democrazia è una forma ideologica, ma se ci danno da votare abbiamo il diritto/dovere di provare a farlo nel modo che ci conviene di più, ed è evidente (anche dai sondaggi) che l’attuale legge elettorale “denuda il Re”, mostrando come la classe politica italiana attuale abbia pochi altri scopi oltre all’automantenimento.
Chiusa parentesi. Non esiste una legge elettorale ottimale, ma per ogni situazione e/o momento storico né esiste una migliore delle altre. Dove la democrazia deve nascere, e la popolazione è attraversata da divisioni territoriali ed economiche, storiche e culturali, è opportuno che ci sia una legge marcatamente proporzionale, di modo che ciascuno si senta rappresentato in parlamento, anche se poi la frammentazione partitica che ne deriva non favorisce certo la nascita di governi lunghi e stabili. Se poi, come nell’Italia del dopoguerra, la dialettica maggioranza/opposizione è bloccata da cause di politica internazionale, e quindi il consociativismo è una strada obbligata, la proporzionale pura è perfetta. E infatti smise di esserlo una volta cadute – insieme col comunismo – le cause di cui sopra, ed esplose con tangentopoli le controindicazioni del consociativismo.
Quest’ultimo, infatti, toglie responsabilità a chi governa. Forse non è un caso che un Paese forgiato da 2mila anni di etica cattolica (mi pento, mi confesso in privato al padre, recito qualche orazione, e sono mondo), dopo aver votato un referendum per l’introduzione del sistema maggioritario, abbia assistito inerte al suo snaturamento con una legge elettorale che conservava (col recupero proporzionale) alcuni degli aspetti deteriori del vecchio sistema senza peraltro garantire (non avendo premi di maggioranza significativi) la governabilità. Il risultato, la cosiddetta Seconda Repubblica, è un sistema ancora bloccato, solo in maniera diversa dal precedente, un consociativismo mascherato in cui nessuno è senza peccato e quindi nessuno fa niente di davvero serio perché chi ha colpe politiche paghi per questo: bicamerale, nessuna legge sul conflitto d’interessi, privatizzazioni selvagge, saltafossi di politici e grandi burocrati, il tutto spudoratamente perché così i sudditi si schifino della politica e la lascino a chi ci sguazza.
Il tentativo di dar luce a una forza politica nuova, che superi di nuovo con una formula ideologica (la parola “democratico” nel nome) la perdita di consenso, è così evidentemente dilettantesco che non ci si crede: basta confrontare il nostro pezzo di due mesi fa con i risultati delle elezioni di un mese fa per avere evidenza dell’assurdità di varare l’accorpamento di due entità così ideologicamente distinte in vigenza di una legge elettorale che premia l’appartenenza ideologica. Meno dieci per cento avevamo previsto e meno dieci per cento in media è stato, e tenuto conto che si trattava di elezioni amministrative, che di solito premiano la sinistra, le previsioni per le politiche restano fosche anche in presenza del fattore W, che i maghi dei sondaggi dicono valga da solo una decina di punti.
Non solo, ma la discesa in campo del sindaco di Roma, oltre ad essere fattore destabilizzante per l’attuale governo, se ce n’è bisogno di un altro, brucia la possibilità che un Cincinnato raccolga qualcosa tra le ceneri della disfatta prossima ventura.
 
Che fare?
Che possiamo farci? Non molto, ma qualcosa c'è. Si stanno raccogliendo le firme per il referendum abrogativo degli aspetti più deleteri dell’attuale legge elettorale. Una nuova legge elettorale decente questo Parlamento NON PUÒ approvarla, se per decente intendiamo che tolga potere alle segreterie e si informi a un impianto maggioritario. Allora noi intanto firmiamo. Così se intanto non si mettono d’accordo, e se intanto non sciolgono le camere, l’anno prossimo una legge elettorale almeno “non indecente” la imponiamo noi Sudditi. Consapevoli di essere tali, usiamo i pochi spazi di manovra che la formula ideologica ci crea per alleviare gli svantaggi derivanti dalla nostra condizione. E questo è quanto.

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