Società secolarizzata, Stato confessionale

Roma 21 Aprile 2013     di Paolo Bonetti                                                                    da Critica Liberale (http://www.criticaliberale.it/settimanale/113282).

Il 16 maggio, a Roma, nella sede della Confederazione generale italiana del lavoro, sarà ufficialmente presentato il numero di Critica liberale recentemente uscito e dedicato all’VIII rapporto sulla secolarizzazione. Questo rapporto, curato da Silvia Sansonetti, Giovanna Caltanisetta e Pierpaolo Brutti, nasce dalla collaborazione, nell’ “Osservatorio Laico”, della Fondazione Critica Liberale e di Cgil-Nuovi Diritti. Alla presentazione ci saranno anche gli amici della Tavola Valdese, a dimostrazione che la laicità può essere praticata e difesa anche da chi è animato da una sincera fede religiosa, ma non nutre mire egemoniche sulla società civile e sullo Stato. Completano il rapporto due interessanti dossier, a cura dell’ISIMM, sulle confessioni religiose e Tv e sulle confessioni religiose e telegiornali.
In questa sede, senza entrare nello specifico dei dati, vorrei osservare, ancora una volta, che il processo di secolarizzazione della società italiana, pur con qualche ondeggiamento, prosegue implacabile, mostrando in modo evidente lo squilibrio che c’è fra il mutamento socio-culturale degli italiani e la legislazione di uno Stato che rinuncia, in tutti i campi, da quello fiscale a quello scolastico, dalla legislazione in materia di diritti civili a quella sulla ricerca scientifica, a far valere diritti costituzionalmente garantiti anche in sede comunitaria e si rassegna a fare  del nostro paese una specie di enclave vaticana.
Non sto esagerando: basta solo pensare alla legge sulla procreazione assistita, demolita dalla Corte costituzionale a suon di sentenze, a quella su un finto testamento biologico da cui ci siamo salvati soltanto per l’interruzione della legislatura, al persistente finanziamento della scuola privata, nonostante l’esplicito divieto costituzionale, alle agevolazione fiscali di cui continuano a godere gli esercizi commerciali e fintamente religiosi  della Chiesa cattolica per finire con i divieti alla  ricerca scientifica in campo medico-biologico in ossequio all’etica non diciamo cristiana, ma semplicemente ecclesiastica.
Non parliamo poi della legge sull’aborto sempre meno applicata, mentre si tratta, nei limiti fissati dalla legge stessa, di un diritto civile che lo Stato dovrebbe tutelare. Infine, c’è la questione irrisolta dei diritti delle coppie di fatto e del riconoscimento di quelle omosessuali, dove l’ossequio di gran parte della classe politica alle direttive della chiesa cattolica ci relega in una condizione che ormai è peggiore anche di quella degli stati sudamericani, dove le pratiche religiose sono certamente assai più diffuse che in Italia.
Una situazione grottesca da cui non riusciamo a schiodarci.
Ma c’è un punto sul quale forse non si riflette abbastanza: l’avanzare dei processi di secolarizzazione in ogni settore della vita civile non significa di per sé la perdita della fede religiosa, neppure di quella cattolica. Significa che, fatti i salvi i fondamenti veramente essenziali della credenza religiosa, milioni di uomini e donne, che pur continuano a proclamarsi cattolici, si ribellano, magari in modo passivo e poco consapevole, alle prescrizioni della morale ecclesiastica che hanno la pretesa di regolare, mediante una legislazione civile ad esse ispirata, aspetti della vita personale e familiare che la coscienza diffusa del nostro tempo intende mantenere gelosamente autonomi.
Per rompere radicalmente con una condizione umiliante per le nostre istituzioni e frustrante per noi cittadini privati di diritti essenziali, non c’è che una strada, quella dell’abolizione del Concordato, anche nella versione mitigata del 1984, che tuttavia continua a concedere alla Chiesa cattolica privilegi privi ormai di ogni giustificazione, fino ad umiliare lo Stato italiano costringendolo  nel ruolo di esattore delle imposte pontificie.
Si dirà che questa prospettiva, nell’attuale situazione politica italiana, è del tutto irrealistica e nessuno si nasconde le enormi difficoltà di una battaglia apertamente anticoncordataria. Ma lo stesso scetticismo e la stessa accusa di irrealismo si ebbero anche quando piccole minoranze iniziarono la battaglia per la legge sul divorzio e per quella sull’aborto.
Quello che resta del laicismo italiano autentico (non parlo di quello fasullo di certi politici e di certi giornalisti) dovrebbe coagularsi attorno a questa battaglia di civiltà, che non offende la coscienza religiosa, ma mira anzi a renderla più libera dalle ingerenze e dagli impedimenti della casta ecclesiastica.
Su questo tema sarebbe utile sentire i pareri argomentati dei nostri lettori, per cominciare a costruire  dal basso quel consenso che è il mezzo migliore per indurre la classe politica a ritrovare un po’ di dignità e di coraggio.
Quello che dobbiamo fare è un lungo cammino, ma è arrivato il momento di mettersi in marcia.

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