Siamo tutti un pò Ljiuba e Leonid?

Siamo tutti un pò Ljiuba e Leonid?

Tutto funziona alla perfezione ne “Il Giardino dei ciliegi” in scena al Teatro Quirino fino al 15 novembre per la raffinata regia di Luca De Fusco.

E’ una crescente vivificazione del ricordo quella che si dispiega sulla scena, ricordo che arriverà al suo annientamento finale. Così è l’iniziale atteggiamento statuario dei personaggi, che sembrano essere stati riposti e rimasti in quella posizione fino al momento del ritorno in Russia dell’aristocratica Ljiuba, il cui arrivo nella proprietà, patrimonio di famiglia, sembra togliere un telo e scongelare tutto e tutti dentro quella casa. Nel luminoso biancore delle splendide scene di Maurizio Balò pertanto, i personaggi, anch’essi vestiti di bianco con i costumi di Maurizio Millenotti, come statue appunto o come i fantasmi che dal passato ritornano, iniziano a muoversi;  i ricordi cominciano ad entrare nell’azione, ricordi ed eventi che via via assumono sempre più nitidezza, fino a trasformarsi in un bianco e nero che riporta la narrazione più vicina alla realtà presente, a quel presente fatto di debiti e della necessaria vendita all’asta della proprietà. Un presente che Ljiuba e il fratello Leonid non accettano, rinchiudendosi in uno psicotico passato, fatto di giochi, della mamma e del maggiordomo Firs che accudisce Leonid come fosse rimasto ancora bambino e lui stesso unico lucido portavoce dell’ormai andato periodo dell’aristocrazia.
Con la vendita del giardino tutto si disgrega: si disgregano i simboli che ancora legavano al passato, si disgrega la famiglia e si disgrega la scena, che sarà possibile osservare nel finale attraverso un muro diviso in due parti di cui una a terra e l’altra corrispondente che cala dall’alto. Splendida l’ultima scena in cui i personaggi scompaiono risucchiati nel vuoto, cadendo come tronchi, proprio quei tronchi di ciliegio che intanto vengono abbattuti.

Ogni cosa funziona perciò: gli attori che sono tutti espressione di continui attimi di bravura e di esperienza, con una particolare lode alla protagonista Gaia Aprea che incanta con la sua interpretazione, le luci di Gigi Saccomandi che valorizzano in modo sublime gli spazi e le coreografie di Noa Wertheim insieme alle musiche di Ran Bagno che contribuiscono magistralmente all’alchimia della serata.

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