Memoria ed esempio, armi contro la mafia
Stefano e Pietro Messina in Per questo mi chiamo Giovanni

Memoria ed esempio, armi contro la mafia

Uno degli episodi più tragici della storia recente italiana spiegato ai ragazzi, per far camminare sulle loro gambe le idee di chi fu ucciso da Cosa Nostra. A 25 anni dalla strage di Capaci, in cui morirono i magistrati Giovanni Falcone e Francesca Morvillo assieme agli agenti della scorta, il teatro Vittoria di Testaccio si riempie di giovani, il 15 e 16 novembre, per lo spettacolo Per questo mi chiamo Giovanni, con Stefano e Pietro Messina. Da una pièce di Gianni Clementi, liberamente ispirato al romanzo di Luigi Garlando.

Speranza in un futuro di legalità e riconoscenza per una vita spesa in difesa della propria terra e della legge. Tutto in un nome, che porta con sé l’idea di cambiamento rispetto ad un passato di paura e rassegnazione. Quel nome è Giovanni, un ragazzo palermitano nato il 23 maggio del 1992, il giorno in cui un altro Giovanni, il mafioso Brusca, azionò il comando che fece detonare l’esplosivo posto sotto l’autostrada Palermo – Messina, all’altezza della cittadina di Capaci. Fu strage di magistrati e poliziotti. Ma la speranza sopravvisse.

Per questo mi chiamo Giovanni è la toccante storia di un padre e di un figlio legati dalla memoria e dall’eroismo silenzioso e inconsapevole di un uomo dello Stato: il Giovanni ucciso a Capaci. Il giudice Falcone. Quel padre volle dare al figlio il nome di una persona coraggiosa prima ancora che onesta e competente. Un augurio per l’avvenire, uno scudo dai mali che affliggono non solo la Sicilia, in verità: omertà, connivenza, timore di fronteggiare il crimine.

L’ingiustizia però si annida ovunque, e anche il bullismo a scuola può divenire mafia se i torti non vengono riparati e le vittime accettano la protervia altrui. Lungo il percorso del ricordo anche il padre parlerà della propria paura, sconfitta grazie al sacrificio del giudice. E di come il dramma di Capaci gli diede la forza di alzare la testa contro l’arroganza vile dei meschini. Così i dialoghi tra passato e presente dei protagonisti, i bravi Petro e Stefano Messina, quest’ultimo anche regista, si fondono trasformandosi in manifesto per il futuro di entrambi. E di una terra intera.

Lo spettacolo presentato al teatro Vittoria è un esempio di come la cultura possa essere anche educazione civica, perché non esiste impegno senza consapevolezza. E non esiste consapevolezza senza memoria e conoscenza. Solo tramandando la verità dei fatti e il ricordo dell’esempio e dei modelli positivi da seguire, infatti, le idee possono sopravvivere al trascorrere del tempo. Per continuare a camminare su altre gambe. 

About Marco Bombagi

Laurea Magistrale in Scienze Politiche con indirizzo sociale e del lavoro conseguita nel giugno 2006. Praticante giornalista presso "Lumsa News" ( scuola di giornalismo dell'università Lumsa) da ottobre 2007 a ottobre 2009. Giornalista professionista dal 19 gennaio 2010. Autore del romanzo "La Valle di Erec" edito da Progetto Cultura