GENOVA: SUL SUICIDIO INFORMATO

(20/11/2012)       di  Bruno La Piccirella

Si è riunito il ‘Comitato per l’Autonomia della Persona’ nella sede di Genova dell’Istituto Italiano di Bioetica. Interventi liberi da parte dei partecipanti su propri argomenti. Come anticipato, in precedenza,  il tema proposto dal coordinatore era di andare oltre il ‘Testamento biologico”  per occuparci di ‘Suicidio informato’.

Il tema del ‘suicidio informato’ è stato (ma era da me previsto) una vera provocazione. Infatti allargare l’orizzonte del fine vita al di là delle tematiche legate al Testamento biologico non è semplice;  riguarda un tema più generale che si inquadra in un concetto, quello del “Non obbligo a vivere”. Vero è che – lo diceva già Seneca – “non sempre bisogna cercare di tenere la vita, perché vivere non è un bene, ma è un bene vivere bene” (da Epistole a Lucillo, 70). E passare dal testamento biologico al testamento di coscienza è un tema ben più delicato.

Sul suicidio la discussione, si è aperta con le eccezioni (non solo legali) sollevate dal notaio Anselmi e dagli altri giuristi presenti (Avv. Evangelisti; Avv.Campostano) sul panorama legislativo italiano. Ricordo che il Codice Penale prevede pene severe a chi agevola o ”rafforza  l’altrui proposito suicidario”.

Anche le corrette precisazioni del Prof. Primavera sulla valutazione del suicidio fatta da Durkheim (da me citato nell’introduzione) sono state utili. Durkheim, distinguendo i fatti sociali dai fatti psichici classificò i suicidi secondo tre modalità: suicidio egoistico, suicidio altruistico e suicidio anomico. Quindi solo con l’integrazione sociale l’uomo può evitare il suicidio (egoistico). “Il suicidio varia in ragione inversa al grado di integrazione nei gruppi sociali di cui l’individuo fa parte” (Durkheim).

Poi c’è stato l’intervento dettagliato del Prof. Franco Manti (Dipartimento di Filosofia – Università di Genova) che ha offerto al Comitato una sua valutazione, articolata su due livelli, del tema in discussione. Il primo livello riguarda l’opportunità.

E’ opportuno – afferma il professore – proporre la discussione sul suicidio in momento come l’attuale che ha di fronte a sé un tema, in discussione nel Parlamento e nella società, molto delicato quale il testamento biologico? E’ opportuno affrontare il tema del suicidio nel momento in cui la campagna elettorale sta cominciando?

Condivisibile l’osservazione del prof. Manti dal momento che ci sono forze politiche, all’interno degli schieramenti di destra e di sinistra che cercano di far passare la legge ‘Calabrò’. Legge contro e non a favore del Testamento biologico. Legge che all’art.1 “riconosce e tutela la vita, quale diritto inviolabile e non disponibile”. Vita indisponibile in quanto dono? “Dono che possiamo anche chiamarlo Dio”, come disse Wittgenstein, a seconda del predominio, o no, della fede? Ma il Parlamento si rivolge (con le sue leggi) ai cittadini o ai fedeli? In un momento di depressione politica come quello che stiamo vivendo, la società civile italiana a me pare ben più avanti della classe politica attuale. Forse è per questo che “le gerarchie ecclesiastiche cercano sempre alleanze con politici conservatori”?

Col secondo livello il prof. Manti entra nel merito etico del suicidio. Oggi c’è un grande bisogno di etica. Ma il problema è: l’etica presuppone un’autorità? Ci vuole forse una guida per darsi un orientamento, ma la guida deve per forza esprimersi con comandamenti, con “principi non negoziabili”? Interessante è l’affermazione del professore: vi sono valori certamente indiscutibili, ma non assoluti. Per esempio uccidere una persona umana è certamente indiscutibile, ma  negoziabile è la circostanza. Per legittima  difesa (provata) si può anche uccidere.

Pertanto c’è da chiedersi: il mondo “in perenne trasformazione” può ancora essere governato da principi ‘non negoziabili’, fondati su tradizioni millenarie in nome di una verità  assoluta e quindi statica? Un’archeologia di valori ritenuti (come detto dal Card. Bagnasco nel convegno di Todi 1) “essenziali, nativi, irrinunciabili, inviolabili, inalienabili, indivisibili” e confermati da Mons. Fisichella nell’ottobre dell’anno scorso: “i valori non negoziabili restano tali. Nessuno li può sovvertire e ogni tentativo di volerli limitare non sarebbe privo di conseguenze per il corretto impegno dei cattolici in politica”. Ma se – come già detto – la società civile italiana è ben più avanti dell’attuale classe politica, affermare ‘non negoziabili’ principi estratti dal passato e trascinati nel presente vuol dire non percepire il contesto delle sfide del nuovo millennio su temi altamente e modernamente sentiti dalla popolazione in ordine alla contraccezione, alla fecondazione assistita, al divorzio, all’aborto, all’impiego delle cellule staminali, alla dichiarazione anticipata delle proprie ultime volontà, alle coppie di fatto, all’insegnamento nelle scuole statali di un’unica religione, sino al finanziamento di scuole private gestite da ordini religiosi. E, per quanto concerne suicidio e eutanasia, il disorientamento, tutto italiano, tra cultura e controcultura non si sta affievolendo sempre di più?

“I principi sono fatti per l’uomo e non l’uomo per i principi” diceva E. Kant, e l’uomo cambia quando cambiano i tempi. Se il mondo cambia “Non possiamo che cambiare anche noi” (Obama) e con noi anche l’etica. L’etica non è un museo.

Morale, quindi, come vincolo e non come autorità. La morale che cambia non è una forma di indecenza. Inserire nel senso etico anche un po’ di senso pratico, in linea coi tempi, mi sembra cosa buona.

Ritorno al concetto del prof. Manti sui valori indiscutibili ma non assoluti. Come interpretare, quindi, il caso della condanna e scomunica comminata (trascurando ogni circostanza), dall’arcivescovo brasiliano, Josè Cardoso Sobrinho, ai medici e alla madre che avevano aiutato una ragazzina di 11 anni (rimasta incinta dopo i ripetuti stupri del patrigno) ad abortire? Anche la gravidanza dopo uno stupro è stata dichiarata “volere di Dio” da Richard Mourdock, candidato repubblicano al Senato nelle recenti elezioni negli USA. No comment!

Altri interventi che sottolineano la delicatezza del suicidio sono stati quello del prof. Franco Ajmar e del prof. Guido Rodriguez, colpito da profondo sconforto quando la sua vita professionale è stata attraversata dal suicidio di persone a lui vicine.

Accogliendo l’invito del prof. Manti propongo di inaugurare una pausa. La probabile anticipazione delle elezioni potrebbe lasciare nel dimenticatoio la legge ‘Calabrò’. Meglio nessuna legge che una brutta legge, se calpesta il diritto inalienabile di decidere per sé. Abbiamo la Costituzione col suo art. 32 e la giurisprudenza. Come disse il prof. U. Veronesi: “Vivere è un diritto, non un dovere”. E sul suicidio, non è meglio medicalizzarlo?

di  Bruno La Piccirella

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