Animali da bar o uomini senza speranza?

Animali da bar o uomini senza speranza?

di Federica Picotti

Un bar…quale luogo migliore o più  insignificante, nel suo quotidiano essere crocevia di incontri approssimativi, o semplicemente casuali, di una famelica razza umana che stenta a darsi una serena dimensione esistenziale, poteva essere scelto come unica scenografia dalla Carrozzeria Orfeo, in scena al Piccolo Eliseo dall’ 11 al 22 gennaio,  con la regia di Alessandro Tedeschi , Gabriele di Luca e Massimiliano Setti?

I cinque attori che si muovono e si agitano in questo bar dai colori scuri e spenti,  Beatrice Schiros, Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti, Pier Luigi Pasino e Paolo Li Volsi, recitano con grande naturalezza e disinvoltura, non sembrano nemmeno attori ma realmente gli avventori di un locale dove la vita scorre, racconta se stessa e le sue sconfitte, mentre ogni speranza e ogni possibile sogno stemperano, man mano, tutto il loro carico di aspettative nell’intrecciarsi delle vicende dei protagonisti.

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Swaroski, uno scrittore incerto fra il vendere la sua arte o tenerla da parte, è l’ incipit della tragi-commedia, mentre seduto al suo tavolino sporgente sulla platea, discorre a voce alta da solo o forse con gli altri, di una visione del mondo e dei bisogni umani che non lascia spazio a qualcosa di meglio di un oggi sgangherato e disilluso.

La sua descrizione dell’uomo è così limitatamente infelice, di un materialismo simbolico che riesce al massimo  a concepire e a paragonare le persone a tanti vassoi di lasagne più o meno ammuffite, mentre inneggia al bisogno umano di piacere sempre e comunque , trascendendo in un gergo nazional-popolare di uso comune. Niente di nuovo sotto il sole…vanità delle vanità. Questo solo, un uomo del genere, riesce a concepire.

“Lasciate ogni speranza o voi che entrate”, ci verrebbe da dire,  in questo bar della vita che diventa occasione per far raccontare da Swarosky, il Mangiafuoco della situazione, le vicende degli altri protagonisti: Sciacallo, un bipolare cosciente di esserlo, che va a rubare  nelle case di poveri vecchi moribondi , con traumi sessuali e vittima del bullismo dei suoi ex compagni di liceo; la barista ucraina incinta, apparentemente cinica,  che affitta il suo utero a donne sterili o spaventate dal parto; un imprenditore di pompe funebri per animali domestici di piccola taglia che vive solo per far soldi, come un moderno papà Grandet;  un finto angelico buddhista e attivista per i diritti dei monaci del Tibet, che mangia soltanto mele, spesso picchiato dalla moglie , che alla fine rivela la sua tendenza al sado-masochismo.  Invece la voce fuori campo dell’anziano  malato e moribondo, cinico e voglioso, è quella di Alessandro Haber.

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Gli attori dunque recitano in maniera impeccabile e trasmettono abilmente una visione inaridita del mondo che ci vede uscire dal teatro pervasi dal vuoto interiore che abbiamo letto in quello zoo da palcoscenico, con la stretta allo stomaco di chi immagina cosa sarebbe la vita se quel bar fosse la regola e ci trovassimo a vivere circondati da persone così, in un mondo privo di speranze e sogni.

Dopo il successo dello scorso anno di Thanks for Vaselina, portato in scena dalla stessa compagnia, torniamo a casa scossi, ancora una volta, da uno spettacolo crudo e forte, felici di non essere avventori di quel bar, sperando al contempo che di clienti così ne abbia sempre meno e che ognuno, in cuor proprio, desideri vivere la sua condizione di  uomo o donna con gioia e dignità perché sperare non fa mai male… senza nulla togliere agli animali.

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