WELBY, WEBER E LO SPIRITO PROTESTANTE. ALLE RADICI DELLE NOSTRE PREFERENZE PER LE SOLUZIONI NASCOSTE

max weber


L'ipocrisia  e la mancanza di trasparenza che sono alla base dei "no" opposti alle richieste di Piergiorgio Welby hanno radici antiche. Preferire le soluzioni ambigue a quelle trasparenti, privilegiare gli accomodamenti piuttosto che le scelte chiare e rigorose,  cercare sempre le soluzioni all'italiana, fa purtroppo parte di una mentalità ormai connaturata, per precise ragioni storiche, nel nostro dna. Una mentalità contro la quale non dobbiamo stancarci di combattere.
articolo di Gino Nobili
Il caso di Piergiorgio Welby continua ad essere al centro di animate discussioni. Come sono in molti ormai a riconoscere, il suo maggior merito  è stato avere consapevolmente spostato nell’alveo del dibattito politico una vicenda che se fosse rimasta confinata nel livello privato si sarebbe risolta da tempo, riducendo di conseguenza le sue sofferenze. La vicenda, invece, per volontà dello stesso Welby si è chiusa in piena e perfetta trasparenza, rendendo visibili i dettagli dell’accaduto e lasciando che a compierlo fosse proprio un medico con una faccia, un nome e un cognome, e non – come forse molti avrebbero preferito –  qualcuno inciampato per caso sulla spina del respiratore artificiale.
 

Il fatto è che, di fronte alle ripetute e circostanziate richieste di un uomo che ha voluto, a costo di veder aumentare e prolungare la propria sofferenza, utilizzare il proprio caso personale per fare una battaglia politica sacrosanta e utile (riuscendo senza dubbio nell’intento, se si pensa a quanto più si parla oggi di testamento biologico ed eutanasia rispetto a qualche tempo fa); ebbene, di fronte a tutto ciò, la giustizia ha tirato fuori una sentenza degna di Pilato passando ai medici una patata bollente, di cui il Consiglio superiore di sanità ha fatto purè dichiarando il poveretto in una “situazione clinica devastata ma relativamente stabile” e quindi non configurando la situazione come “accanimento terapeutico”.
Max Weber 1905: "L'etica protestante e lo spirito del capitalismo"
Ci si potrebbe domandare cosa c’entri con questa vicenda Max Weber. Il sociologo tedesco è famoso soprattutto per questa sua opera, in cui dimostra che l’affermarsi dell’etica capitalistica proprio in quei paesi dove qualche secolo prima era nata e si era affermata l’etica protestante, in particolare calvinista, era tutt’altro che una coincidenza. Il ragionamento, volgarizzato estremamente, è il seguente: il calvinista sa che le proprie opere non possono redimerlo e fargli ottenere la grazia divina, quindi la propria condizione di ricchezza o povertà è il segno del proprio stato di grazia o meno, che è predeterminato. Per cui il lavoro, la produzione, il risparmio, l’investimento dei profitti, sono valori in sé e non strumenti per ottenere qualcos’altro. Per quanto possa sembrare il contrario, ciò favorisce l’assunzione di responsabilità personale e lo spirito d’impresa: la mia riuscita è l’unico modo che ho di scoprire se sono o meno predestinato, e se sbaglio non posso pentirmi o chiedere perdono, posso solo pagare per le mie colpe di fronte agli uomini. I conti con Dio, sono affari suoi e non si abbassa certo a spiegarli a me, devo capirli da solo, e nessun intermediario può aiutarmi.

Il cattolico invece crede
che le proprie opere e le proprie preghiere possano cambiare il suo destino nella vita eterna, ragion per cui quando sbaglia si pente si confessa e riacquista, tramite l’uffizio di un sacerdote-intermediario, la santità perduta. Weber o non Weber, non si può non convenire che millenni di questa etica religiosa, come quelli trascorsi in Italia, non hanno certo favorito l’instaurazione di un senso intimo di responsabilità personale nel nostro “dna” culturale.
Ragion per cui, da noi si preferiscono sempre e pervicacemente le soluzioni individuali, mezzo nascoste nelle zone grigie della nostra coscienza collettiva, alle chiare prese di posizione etiche sociali. L’aborto c’è sempre stato, ma è stato regolato dalla legge solo nel 1981; la normativa poi di fatto si è rivelata ottima, riducendo drasticamente il ricorso a questa tragica pratica, ma ciò non impedisce ad una importante minoranza trasversale di continuare ad attaccarla. Lo stesso per il divorzio, che ha faticato ad affermarsi in un paese che preferiva soluzioni come il delitto d’onore o la separazione in casa (sono cose ancora non del tutto superate, specie in alcune zone del sud del Paese: andare a verificare per credere).
Adesso è la volta di questioni delicate come i cosiddetti Pacs e l’eutanasia. Sui primi, si sente di continuo sia a destra che a sinistra levarsi di voci “a difesa della famiglia”. E mai nessuno che faccia, e se lo fa nessun media che la riporti, la fatidica semplice domanda: ma se io riconosco alcuni diritti alle famiglie di fatto, a due persone di sesso diverso o dello stesso sesso che vivono sotto lo stesso tetto, cos’è che tolgo alle altre famiglie? Ma che, i diritti sono un tot definito, e se ne riconosco di più a certe categorie ne devo per forza togliere ad altre?

La risposta ce la dà proprio il caso Welby: il sentimento più diffuso, per la scelta di questo uomo coraggioso di mettere in piazza il proprio problema, è stato ancora il fastidio. Vuoi morire? E che diamine, fatti staccare la spina da tua moglie, che non hai visto Clint Eastwood in Million dollar baby? Fossi solo tu: ce ne sono migliaia all’anno, in Italia! Alla fine, per fortuna e grazie ancora a Piergiorgio, per una volta non si è riusciti a dare ragione a Weber, non si è riusciti a convincerlo a fare le cose “all’italiana”. Ma certi titoli sui giornali e certe dichiarazioni di ex ministri la dicono lunga sullo stadio di evoluzione del pensiero libero e laico in Italia.

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