TFR, VA ELIMINATA L’INGIUSTA PENALIZZAZIONE DELLA RIFORMA TREMONTI. NON SERVIREBBE NEANCHE UNA LEGGE

articolo

Con la riforma Tremonti il TFR è stato
ingiustamente penalizzato. Elevata l’aliquota  più bassa al 23 per
cento, è salita anche l’aliquota media con cui tassarlo, senza che in
questo caso possa operare la nuova deduzione dall’imponibile prevista
per la
tassazione dei redditi. Ma chi dice che questa deduzione
non debba essere applicata anche per la tassazione del TFR? Solo
un’interpretazione
restrittiva dell’Agenzia delle
entrate, sostiene Di Nicola in questo articolo, che potrebbe essere
corretta con un semplice intervento amministrativo.  Comunque una
strada per
eliminare questa stortura, in via amministrativa o legislativa che
sia, va trovata al più presto. Anche perché i
percettori del TFR sono già danneggiati, come abbiamo mostrato in un
altro articolo, dal venir meno della speciale detrazione di 310 euro
prevista dal decreto legislativo 47 del 2000
Articolo di Fernando Di Nicola

Il trattamento di fine rapporto – TFR – è stato
sempre considerato come un guadagno da sottoporre a tassazione separata
e da agevolare fiscalmente. Rappresenta infatti una forma di
salario differito maturato grazie al lavoro prestato per un lungo
periodo e non sarebbe giusto che venisse sottoposto a tassazione
con l’aliquota marginale Irpef applicabile al reddito dell’anno in cui
il TFR viene percepito. Questi criteri di tassazione sono stati però
modificati negli ultimi anni, determinando non trascurabili impatti
redistributivi. In questo articolo cercherò di evidenziare le ultime
trasformazioni ed argomentare perché esse sono discutibili sotto il
profilo della legittimità e dell’opportunità e perché è urgente
arrivare a una loro correzione.

Lo spirito della vecchia normativa

Dal punto di vista normativo, la logica di fondo del sistema – che
prevede la tassazione separata del TFR con una aliquota media
corrispondente ad un importo in qualche modo riportato ad anno – era
rimasta sostanzialmente invariata anche dopo l’intervento di riforma
del 2000.

In particolare, con gli interventi operati tramite con l’art.11 del D.
Lgs. n.47/2000 e con l’art.8 del D.Lgs. n. 168/2001, la tassazione è
stata distinta in una imposta sostitutiva dell’11% sui soli interessi
maturati sui montanti accantonati (coerentemente con la logica della
nuova tassazione sul maturato dei redditi finanziari) ed una tassazione
separata sulla parte restante “in base all’aliquota media di tassazione
dei cinque anni precedenti a quello in cui è maturato il diritto alla
percezione” (art.19 del TUIR).

Appare evidente, pertanto, che anche con queste norme è stato
conservato al TFR un trattamento di favore, in quanto le somme
accantonate invece di essere sottoposte ad una aliquota marginale Irpef
(variabile di fatto tra il 30% ed il 45%) sono assoggettate in parte ad
una aliquota sostitutiva particolarmente ridotta, ed in altra parte ad
un’aliquota media Irpef, nettamente più bassa di quella marginale.

Come sorge il problema

Da dove sorgono allora le proteste ed i malumori degli ultimi tre anni?
Il problema trae origine dalla riforma Irpef per il 2003 che, nel
ridisegnare la curva della progressività Irpef, l’ha fatta poggiare su
tre piedi anziché due, e più precisamente ha elevato l’aliquota più
bassa dell’Irpef dal 19 al 23 per cento concedendo in cambio una
deduzione decrescente dall’imponibile ai preesistenti scaglioni ed
aliquote. L’operare della deduzione decrescente ha contrastato
l’aumento delle aliquote abbassando parzialmente, specie per i
redditi meno elevati, il carico Irpef. Ne ha sofferto però il TFR dei
lavoratori con redditi più bassi, sottoposto a tassazione in base a
un’aliquota media più elevata.  

Questo effetto indesiderato, probabilmente frutto (all’inizio) di una
dimenticanza da parte di chi ha disegnato il primo modulo di riforma
Irpef o scritto materialmente il testo di riforma, non è stato
successivamente corretto, probabilmente a causa del minor gettito che
avrebbe comportato per le disastrate entrate pubbliche, nonostante
siano stati presentati in Parlamento ben tre progetti di modifica,
tutti fondati su un’ulteriore clausola di salvaguardia, cioè sulla
scelta del regime più favorevole tra il vecchio ed il nuovo (Benvenuto
ed altri, Atto Camera 3705 del 2003; Turci ed altri, Atto Senato 2875
del 2004; Cambursano e altri, Atto Senato 2885 del 2004).


Per correggere la stortura basterebbe un intervento amministrativo

La mia tesi tuttavia è che non era (e non sarebbe) necessaria una
modifica legislativa per correggere l’aggravio che si è determinato per
il TFR dei lavoratori a più basso reddito, in quanto il testo di legge di riferimento, oggi
rappresentato dagli articoli 19 e 11 del TUIR (Testo Unico delle
Imposte sui Redditi), aveva (ed ha) in sé tutti gli elementi per
calcolare correttamente l’aliquota “media” anche dopo l’intervento
di riforma dell’Irpef per il 2003. La normativa vigente consentirebbe
infatti perfettamente di calcolare l’aliquota media Irpef applicando
anche in sede di tassazione del TFR la deduzione decrescente di base,
che a mio avviso è valida per qualsiasi contribuente e tipo di reddito.

Gli argomenti a sostegno di questa tesi sono almeno i seguenti:

  1. la riforma Irpef 2003-2005 introduce per tutti, anche quando siano
    assenti specifiche situazioni quali familiari a carico o oneri
    detraibili, un ulteriore aggregato di reddito oltre a quelli già
    esistenti prima – “complessivo” ed “imponibile” – distinguendo tra un
    reddito di riferimento per la decrescenza delle deduzioni (o imponibile
    per le addizionali locali), ottenuto come differenza tra il reddito
    complessivo e gli oneri deducibili, ed un imponibile per l’applicazione
    di aliquote e scaglioni, ottenuto come differenza tra il citato reddito
    di riferimento per la decrescenza e la deduzione effettivamente
    spettante.  La definizione dell’imponibile per l’applicazione delle
    aliquote e scaglioni è dunque solo un passaggio intermedio per il
    calcolo dell’Irpef dovuta, che però resta agganciata di fatto
    all’imponibile di riferimento per la decrescenza.  Ne deriva che
    dovrebbe essere quest’ultimo il denominatore del rapporto che definisce
    l’aliquota “media”, essendo invece il numeratore l’imposta dovuta,
    calcolata attraverso i due passaggi citati
  2. Il primo passaggio per il calcolo dell’Irpef, cioè la
    quantificazione della deduzione effettivamente spettante in base a
    quella potenziale (3’000 euro se si ipotizza l’assenza di qualsiasi
    altra condizione di maggior favore), è rubricata dallo stesso art.11
    del TUIR come “Deduzione per assicurare la progressività
    dell’imposizione”, dunque come elemento essenziale del meccanismo di
    calcolo progressivo. Si noti, a conferma della centralità della
    deduzione spettante ai fini del calcolo dell’imposta e dell’aliquota
    media, che non è possibile pervenire all’imponibile erariale ed
    all’imposta lorda se non dopo aver definito, in base al reddito di
    riferimento, la deduzione spettante; ciò contribuisce ad affermare che
    non ha senso, con l’attuale impianto, calcolare l’Irpef ignorando la
    quantificazione della deduzione spettante e applicando direttamente
    aliquote e scaglioni ad un reddito
  3. Prima della riforma Irpef 2003-2005 il calcolo dell’aliquota “media”
    è stato ovviamente effettuato ipotizzando l’assenza di qualsiasi
    elemento influenzante l’imposta netta riconducibile a situazioni
    “particolari”: venivano perciò ignorate le detrazioni per oneri, per
    carichi familiari, per tipo di reddito, per ristrutturazioni edilizie. 
    Assumendo la stessa ipotesi nella situazione post riforma, ed ignorando
    perciò ogni elemento di riduzione dell’imposta netta per particolari
    situazioni di maggior favore, sarebbe sempre da applicare
    quell’elemento di calcolo costituito dalla deduzione “di base” (cioè
    quella che parte dai 3.000 euro per annullarsi in corrispondenza di
    29.000 euro).

Il vantaggio di questo approccio, pur accomunato ai citati disegni di
legge dall’obiettivo di evitare l’aggravio della tassazione del TFR per i
redditi più bassi, sarebbe quello di rispettare meglio la coerenza tra
tassazione personale progressiva e tassazione separata ad essa ispirata
e riconducibile, come è il TFR. In altre parole, la riduzione di
carico che la riforma Irpef ha operato per la gran parte dei redditi si
ripercuoterebbe, secondo la stessa curva di progressività effettiva,
sui diversi ammontari di TFR ed anche su altre tassazioni separate
ispirate alla progressività Irpef.


Le strade per una soluzione legislativa

E’ comunque il caso di sottolineare che la soluzione qui proposta è di
tipo interpretativo, e non necessita di una nuova legge (non è escluso
anzi che un qualsiasi contribuente potrebbe impugnare l’interpretazione
data oggi dalla prassi – qualora fosse disposto ad assumersi
costosi oneri per il contenzioso – e vedersi dare ragione dai giudici
tributari). Tuttavia, considerato che l’Agenzia
delle Entrate ha fin qui assecondato il Governo nel recupero di circa
mezzo miliardo di gettito annuo e che rinunciarvi rappresenterebbe una
scelta assai impegnativa, sarebbe consigliabile intervenire per
via legislativa.

Resterebbe allora da scegliere tra due strade alternative:

  • varare una norma di “interpretazione autentica” che,
    nell’esplicitare il metodo di calcolo qui esposto, lo rendesse di fatto
    più forte perché anche retroattivo, intervenendo così sulle
    riliquidazioni in corso, che per legge vanno effettuate entro tre anni
    dalla prima liquidazione
  • “cambiare” ex nunc il calcolo dell’aliquota media fondandolo su scaglioni, aliquote e deduzione di base.

Per il futuro, più in generale, c’è solo da sperare che la tradizionale
“fame” di gettito dei Governi non induca a compiere forzature dannose
per i contribuenti, specie se a più basso reddito.

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