PRIMARIE DEL PD. DIARIO DI UN FAN DI IGNAZIO MARINO

primarie5.jpg

(22.10.09) Un blitz autunnale a Parigi ci ha permesso di riscoprire una città dove i sindaci vecchi e nuovi di Roma – da sempre priva di trasporti pubblici, sempre più sporca e il cui territorio è per sempre consegnato alla devastazione della classe di costruttori peggiori del mondo – dovrebbero andare una volta l'anno in pellegrinaggio battendosi il petto e vergognandosi. Una città dove sono stati capaci di costruire negli ultimi trent'anni un moderno quartiere di affari e grandi architetture come la Defense, niente di paragonabile a quella povera incompiuta dell'Eur che non saranno certo la Formula Uno di Alemanno e la nuvoletta di Fuksas a rivitalizzare. E a proposito di Defense, sembra ormai spenta l'eco dello scandalo della candidatura di Jean Sarkozy, 23enne secondogenito del presidente francese, alla guida dell'Epad, l'ente pubblico che gestisce il grande quartiere d'affari. Certo “Marianne”, la rivista della gauche antisarkozista a oltranza, gli ha dedicato ancora la scorsa settimana quasi un intero numero con titoli di copertina come “La République abolie”, “La goutte qui fait déborder le vase” e “Meme la droite est révoltée” e inventandosi un nuovo motto della Repubblica, “Liberté Egalité Paternité”. Ma secondo i sondaggi lo scandalo Jean Sarkozy non rientra già più tra i primi dieci argomenti di interesse dei francesi, e del resto domenica scorsa nella piazza dell'Hotel de Ville ci è capitato di imbatterci in una manifestazione dell'ex mitico PCF in difesa dei “sans papier”, alla quale avranno partecipato una sessantina di persone. La crisi della sinistra, che comincia naturalmente dal partito socialista, in calo di consensi e per di più intrappolato nel brutto processo Villepin, ci riporta alla crisi della sinistra italiana, impersonata brillantemente dal vuoto esistenziale del Pd. Riusciranno, qui da noi, a cambiare qualcosa le primarie del 25 ottobre? Siamo tra quelli che se lo augurano, con il pessimismo della volontà e quello della ragione. Intanto ospitiamo questo diario elettorale convintamente pro-Marino, il chirurgo venuto dall'America per trapiantare un nuovo cuore al centrosinistra italiano. Probabilità di successo dell'operazione, non disponibili.
Diario di Gian Carlo Marchesini

Identikit dei bersaniani
Ho scoperto che tra i miei amici, alcuni, più di quanti non immaginassi, hanno deciso di votare alle primarie per Bersani. I miei amici che votano alle primarie Bersani sono persone colte, accorte, professionalmente serie e impegnate. A volte però, quando parliamo di politica, colgo nel loro sguardo una luce di sufficienza un po’ furba e, insieme,  a velarla, un’ombra più impenetrabile e scura.  E come avvisassero, anche senza volerlo, che loro  ne hanno viste  tante, per cui oggi ne sanno sicuramente più di chiunque. Ma siccome io credo che dietro a ogni scelta importante ci sia – implicita o esplicita, detta o non detta –  una visione, una concezione della vita, voglio provare ad indagare il caso della scelta tra i candidati alle primarie seguendo il filo fornito da  questa chiave di lettura.

I perché di una scelta

Io credo che a orientare un percorso di vita sia presente e agisca un ventaglio di posizioni legate alle credenze profonde di ognuno, frutto di una certa esperienza, il cui perno costituisce il senso e il valore che si dà alla vita stessa. Da una parte ci sono bisogni e desideri, aspirazioni e ambizioni potenzialmente illimitati, dall’altra una realtà fattuale di opportunità e risorse drasticamente limitate. Cosa succede in noi, cosa si decide nel momento in cui ci si rende conto che non ce n’è illimitatamente per tutti? O si prende una strada,  per esempio quella della contrattazione e concertazione con criteri e regole chiari e condivisi per suddividere quello che c’è in parti sostanzialmente uguali (chiamatela vangelo cristiano della comunione dei beni, valori e principi di socialismo e comunismo, visione pragmatica e temperata di un keynesiano welfare), oppure  si sceglie una strada diametralmente opposta: quella, magari velata e camuffata, della giungla, dell’homo homini lupus, del darwinismo interpretato in chiave più o meno elitaria e selettiva.  Milton Friedman in economia, Bernard Madoff  nell’uso della finanza, per intenderci, di questa seconda posizione sono campioni. Ovviamente non tutti sono Madoff, come non tutti gli uomini di indirizzo opposto sono francescani puri o integerrimi  monaci stiliti. Nell’arco del ventaglio si collocano rappresentativamente bene, in forte e netto contrasto tra di loro, il falco repubblicano Bush e la colomba nera Obama.  Il primo è incarnazione di un modello e di una visione di chi è rapido nell’uso del randello se qualcuno si avvicina a mettere in pericolo il proprio malloppo – o a rotearlo minacciosamente e a colpire duro pur di accrescerlo. Per tale concezione la diseguaglianza è congenita e perfino congeniale e benefica alla natura umana: il più forte ha più diritti, il più debole è bene si accontenti e taccia, se poi si ribella si beccherà un sacco di legnate. Insomma, nella naturale e inesorabile scala gerarchica, ognuno deve saper stare al suo posto, e chi lo decide è la logica della forza.  

Il carisma di Obama

Il secondo, impersonato da Barack Obama, collega e connette le diseguaglianze alle ingiustizie, gli egoismi e le  rivalità ai conflitti, lavora quindi per una più equa ripartizione delle risorse attraverso il metodo del confronto, della trattativa, della concertazione, dell’accordo. Certo non è un francescano, non  ha a che fare con una rigorosa opzione per la non violenza, ma ha capito che il ricorso alla violenza è parte e concausa dei problemi, non la loro soluzione.
Nel nostro caso particolare non così impegnativo ma comunque rappresentativo delle primarie,  meccanismi e filosofia di fondo non sono nella sostanza diversi. Io credo che chi sceglie  Bersani sia mosso da un giudizio sottostante sulla natura umana e sul vivere sociale piuttosto pessimistico e scettico, e da un modo di affrontarli piuttosto duro e cinico. C’è di mezzo il problema della conquista del potere, e il potere per sua natura è violento, comporta e  genera esclusione,  ha di suo specifico, se del caso, il ricorso all’uso della forza, e il ricorso all’uso della forza implica automaticamente una sua possibile estensione in termini di punizione e forte sofferenza, con il fantasma, o con la sua materializzazione possibile e terribile, della somministrazione della morte. Per dirla fuori dai denti: il potere ha a che fare con il conflitto, e il conflitto non è cosa da femminucce, perché può anche tradursi in scontro dispiegato e guerra. Non a caso uno dei refrain martellanti della campagna di violenta critica dei repubblicani contro Obama è focalizzato sulla denuncia di emasculation (svirilizzazione) a cui il nero (e samoano e kenyota) starebbe tragicamente portando gli USA.

Su chi avere fiducia

Io dico che tutto questo sta dentro, agisce e condiziona, a qualche livello più o meno consapevole, anche la scelta del popolo dei democratici tra Bersani, Marino e Franceschini, candidati a guidare una forza politica che ambisce a dirigere il Paese. Al cospetto di questa scelta non ci si può porre senza rispondere alla domanda: a chi affideresti tu l’incarico di rappresentare, guidare, proteggere te, la tua vita, la tua famiglia, i valori e i principi in cui credi, i tuoi interessi e beni?  
Il punto è che stiamo abbastanza male da avere bisogno di un uomo esperto, energico e duro, ma forse (noi italiani) non stiamo così male da avere bisogno di un uomo completamente nuovo. C’è anche da dire che sotto la spinta della crisi,  e dei suoi molteplici, giustificati o gonfiati allarmi, tra questa sinistra reduce da tanti fallimenti e una  destra rozza ma  rampante e nerboruta, è comprensibile ci sia chi si sente più garantito da questa seconda. E questo clima e contesto è ovvio producano riflessi e ripercussioni anche nella scelta del candidato segretario del Pd.  E poi, anche laddove abbiamo una volta creduto alla possibilità di una radicale riforma, di una rivoluzione addirittura, oggi molti anche a sinistra non ci credono più. Si accontentano di qualcuno capace di tutelare quel poco di buono che è rimasto, tanto, per finire nel peggio del peggio c’è sempre tempo. Bersani rappresenta l’immagine rassicurante dello zio saggio, concreto e sbrigativo, con il pelo sullo stomaco, capace di mediazione ma anche, nel caso, di menare le mani. Franceschini può sempre dirigere l’Arci o i boys scouts. Marino, infine, può continuare a fare trapianti, che lì ha dimostrato di sapere fare bene. Ma per fare politica  in un momento difficile e duro non è cosa.
Io credo che chi il 25 ottobre alle primarie del Pd vota  Bersani, negli Stati Uniti, di fronte alla scelta tra Hillary Clinton e Obama, avrebbe sicuramente votato la prima. E fino a qui poco male. Ma, secondo me, qualcuno, piuttosto che per una donna o per un nero,  avrebbe istintivamente  votato anche per quel vecchio galantuomo patriota di McCain.  Sono perfino incline a immaginare qualcuno dei bersaniani – quelli, ad esempio, che prediligono la lettura de Il Foglio e Il Riformista a quella dell’Unità –  borbottare: ah, se solo Berlusconi non fosse così impresentabile per le barzellette e le uscite maldestre, per certi vezzi conclamati e vizi sbandierati!
 
Voi dite che esagero?
Ma il patto tra Fazio, Fiorani, Consorte (ispiratori D’Alema e Fassino) e il metodo seguito nella scalata alla Bnl, o il comportamento dei soliti deputati Pd in Parlamento, pronti a non farsi trovare nei momenti critici o a votare addirittura per l’altra parte – o Loiero capolista in Calabria, Bassolino e Iervolino in Campania, non inducono a pensare diversamente. Leggete, vi prego, la vicenda della sezione del Pd di Castellammare di Stabia e dell’uccisione del consigliere comunale Tommasino: l’assassino era uno degli iscritti della sezione, che ha visto crescere i propri soci di ben 3000 in una sola settimana. Ma anche senza tali patologici boom camorristici con annesso omicidio, cosa sono spesso diventate le sezioni di partito: sedi di elaborazione e iniziativa politica al servizio della collettività, o luoghi di gestione delle carriere, degli appalti, degli affari personali, di gruppo, di cordata e di clan?       
Infine, lasciatemelo dire, se a capo di quella che è ancora la più grande potenza planetaria è potuto arrivare un nero nato nelle Hawaii e figlio di padre kenyota, possibile che persino la parte più avanzata di questo Paese abbia così tanta difficoltà ad accettare  uno scienziato di prestigio mondiale esperto nei trapianti, credente profondo e laico rigoroso – in questo paese di simonie, imbrogli e miscugli – e preferisca uno zio rassicurante e saggio perché esperto in “lenzuolate” più roboanti che effettive, candidato non in proprio, ma in nome e per conto altrui?   Ma la Binetti bigotta e omofoba che dichiara di votare Bersani, a voi lascia indifferenti?  E se la cosa in Italia più difficile da fare e rivoluzionaria fosse proprio quella più necessaria, e cioè premiare  capacità e requisiti di scienza, merito e competenza, piuttosto che l’esperienza in furbate correntizie, conoscenza nei meccanismi delle diavolerie e altre mariolerie?

Il tentato “Lodo Scalfari”

Quando si è profilata la possibilità che il terzo votato tra i candidati, e cioè verosimilmente Ignazio Marino, potesse determinare l’elezione del nuovo segretario, ecco spuntare Scalfari ospite della Dandini, il quale così ineffabilmente argomenta: non è accettabile che il terzo arrivato abbia il potere del king maker: quindi io propongo che il nuovo segretario non sia eletto dai membri del congresso, ma coincida con quello che alle primarie ha avuto il maggior numero di voti, anche là dove non superi il 50%.  Bersani e Franceschini hanno immediatamente risposto di sì.
Ma come, un regolamento congressuale sia pur  unanimemente riconosciuto lacunoso perché ricalcato sul sistema elettorale vigente – in buona sostanza tutto  è deciso dall’alto – che in presenza del profilarsi dell’eventualità che possa essere Marino ad avere un qualche peso significativo viene disinvoltamente accantonato, accettando così che purché non sia lui a farlo, il king maker decisivo sia… Eugenio Scalfari!?!  E questo sarebbe un partito democratico? Un dubbio:  ma non è che la gran parte dei gruppi dirigenti del Pd soffre Ignazio Marino – strutturalmente, idiosincraticamente – come un fastidioso corpo estraneo?  

Le mie ragioni
Se Marino non si fosse presentato come candidato non mi sarei impegnato in questa vicenda congressuale  del Pd. Io non nasco politicamente perché legato a un partito, ma cerco di capire il momento e la situazione particolare e specifica per dare il mio personale contributo alle battaglie che ritengo giuste. A vantaggio di chi, spero non sia necessario spiegarlo. Lo trovo ovvio, altrimenti che si campa a fare?  Le fortune personali dei leader non mi appassionano più di tanto. I leader che si ritengono tali a vita, e a prescindere, mi annoiano e indignano. Marino – ahimé,  forse ancora non così adeguatamente esperto e navigato come oggi sarebbe necessario – incarna ed esprime esattamente ciò di cui, secondo me, la sinistra e questo Paese hanno bisogno: in termini di pulizia, onestà, serietà, linguaggio chiaro, netto e trasparente, merito acquisito e competenza dimostrata, religiosità riservata, spirito laico e impegno per diritti e doveri uguali per tutti.  Rispetto al politichese corrente  lui rappresenta ed esprime la dimensione della responsabilità morale, sociale e civile in assenza della quale la politica è il teatrino/disastro cui da troppo tempo assistiamo. Non appoggiarlo è una delle poche occasioni rimaste ulteriormente persa. Ma immagino che molti appoggeranno il candidato fornito di un più rassicurante e tradizionale political appeal. E questo, secondo me,  a danno del Pd e dell’intero Paese.

La conferma

Durante l'ora e mezzo del dibattito su YouDem  tra i candidati mi sono ulteriormente confermato che Marino è ciò di cui il Pd, la sinistra, il Paese hanno bisogno. Marino non possiede alcun genio politico straordinario: le cose che dice sono di semplice, onesto, coraggioso buon senso. Sono le soluzioni di una mente attrezzata e aperta ai problemi posti dai  tempi. E’ il nostro Paese che da qualche anno in qua si è invece trovato a spurgare tutti i liquami che al suo malefico genio opposto e contrario è stato consentito. La dote particolare di Marino è di essersi formato altrove, all’estero, dentro la migliore pratica professionale, politica e culturale oggi esistente. Mostra coraggio e onestà, competenza e radicalità perché libero dai condizionamenti di ideologie, chiese, clan e correnti, dalle croniche e infestanti rivalità leaderistiche personalizzate  di cui invece Bersani e Franceschini sono ancora troppo prigionieri.
Se volete, a conferma, ho avuto modo di verificarlo in un test diretto con mio figlio. Ventiduenne universitario aggiornato e sveglio, lui è rappresentativo delle nuove generazioni che, pur non leggendo giornali o seguendo i telegiornali, è informato via rete di tutto. Ed è di quelli che, figlio di genitori politicamente militanti e intellettualmente attivi – a volte noiosamente fin troppo – se non altro per distinguersi tende a dissentire e a contrapporsi. Ebbene, ha assistito concentrato e silenzioso il confronto televisivo dall’inizio alla fine, e poi, terminato il match, mi ha chiesto conferma della possibilità, non essendo un iscritto, di partecipare alle primarie. Voterà per Marino, e se n’è andato senza aggiungere fiato.

Insolito volantinaggio

Nel pomeriggio mi sono concesso qualcosa che non mi succedeva dai tempi lontani del ’68, di Lotta Continua, delle campagne sul referendum sul divorzio e la legge sull’aborto. Ho volantinato per alcune ore all’uscita di un mercato coperto nei pressi di Piazza Bologna.  In quelle ore grosso modo è successo che un terzo dei contattati ha proseguito senza dare retta, un terzo ha accettato il materiale informativo sulle primarie e sui candidati senza proferire verbo. Un terzo si è fermato, ha accettato volentieri lo scambio,  ha ascoltato e diversi hanno anche approfittato per aprirsi, confidarsi, sfogarsi parlando della politica oggi, delle troppe delusioni e di qualche speranza residua. Ho colto in molti evidente il sollievo per l’occasione offerta di poter finalmente parlare con qualcuno – non se ne può evidentemente più di solitario e passivizzante chiacchiericcio televisivo. Ho conversato fittamente, come fossimo vecchi amici, con una sessantenne dichiaratamente delusa di D’Alema e Veltroni – basta con le bizze e i bisticci di quei due! –  e sono rimasto a parlare a lungo con un liceale diciassettenne che con la freschezza e sincerità tipiche di quell’età ha parlato di sé, di papà che è di destra e legge Il Giornale (però Feltri non lo stima, quello non è un giornalista, ma un picchiatore), mentre mamma è radicale e legge La Repubblica. E lui si dichiara felice di quella combinazione di opposti, perché così ha la migliore scuola politica formativa possibile. Poi abbiamo parlato di Santoro e Anno Zero,  Di Pietro e Mani pulite, di Ignazio Marino e del suo programma, con una vivacità pacata, con una riflessività appassionata. Al tavolo del gazebo si sono anche fermati diversi extra comunitari e studenti fuori sede che hanno lasciato recapiti e generalità perché intenzionati a partecipare al voto delle primarie. Poi è arrivato un quarantenne elegante e dal linguaggio forbito che ci ha chiesto ascolto per sottoporci un quesito tecnico. E lì, a noi cinque del gazebo, l’ha messa giù dialetticamente proprio dura. “Ma vi rendete conto che se qualcuno di molto potente volesse, approfittando del vostro assurdo regolamento congressuale, potrebbe organizzare una partecipazione pilotata di massa al voto, e così far vincere dei tre quello che al congresso dei circoli ha avuto meno voti?”  Insomma, tradotto in soldoni: se Berlusconi volesse, potrebbe determinare l’esito finale del voto spossessando così la volontà già espressa dagli iscritti nei congressi di circolo. Il quesito dell’avvocato non è in effetti peregrino, e la discussione è immediatamente avvampata. Gli si è in buona sostanza risposto così. Innanzitutto, contestualizzando, siamo in un Paese in cui i parlamentari stessi non vengono più eletti, bensì nominati, e in cui nessun partito, tranne il Pd, si sottopone al vaglio di un congresso. Altrove, ad esempio negli USA, questo abitualmente avviene. Il nostrano PdL è nato da un congresso battezzato sul predellino di un’auto a piazza San Babila e si è completato con l’investitura del capo per acclamazione plebiscitaria. Non ci sta che per slancio democratico correttivo una forza politica ecceda in una possibilità di partecipazione larga? Prima di eccepire, non si dovrebbe apprezzare? E poi, che vengano pure le colonne di manipolatori: ci sarebbero delle belle discussioni, e gli organi dirigenti del Pd saprebbero prendere le opportune contromisure. Ma sul piano puramente tecnico, abbiamo dovuto confortare il nostro avvocato dicendogli che una qualche ragione in effetti ce l’aveva…

About Redazione