MANIFESTO DEL MELFI – MOVIMENTO PER L’EQUITA’ E LA LEGALITA’ FISCALE

Usciamo dalla televisione, parliamo di tasse

PER L’EQUITA’ E LA LEGALITA’ FISCALE: APPELLO ALLE FORZE POLITICHE
IMPEGNATE NELLA CAMPAGNA ELETTORALE


L’art. 53 della nostra Costituzione recita che:
“Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della
loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri
di progressività”.  

Una politica che favorisce l’evasione
Questo è uno degli articoli della Costituzione più disattesi. Nel
nostro Paese l’imponibile occultato è pari ad un terzo dell’intero Pil
e l’imposta evasa è superiore ai 200 miliardi di euro (400 mila
miliardi delle vecchie lire). Questa enorme evasione riduce le risorse
necessarie per lo sviluppo economico e sociale del Paese e aumenta la
pressione fiscale su imprese e cittadini onesti che non evadono.
A sua volta l’INPS dà notizia dell’aumento vertiginoso delle aziende
irregolari individuando per un totale di 61.729 imprese (dati riferiti
al primo semestre 2004) un incremento del 36,7% rispetto allo stesso
periodo del 2003. Mediamente, il 74% delle imprese ispezionate evadono
contributi per 759 milioni di euro.
Il Censis, nel suo 39° rapporto, stima che l’incidenza delle imprese
irregolari (da quelle totalmente sommerse a quelle che ricorrono
sistematicamente all’evasione fiscale e contributiva) è dell’ordine del
53%. D’altronde era il 16 giugno 2005 quando Berlusconi, rispondendo ai
giornalisti poco prima dell’inizio dei lavori del consiglio europeo a
Bruxelles, dichiarava testualmente: "Smettiamola di preoccuparci così
tanto per l’economia italiana: abbiamo un sommerso del 40% , ma vi
sembra che la nostra economia non tenga? Ma andiamo… ".  Ecco
dunque che d’un colpo l’economia informale passa dall’essere un annoso
problema irrisolto ad una risorsa supplementare per il paese.
E ancora. Era il 7 dicembre del 2002, quando il premier si lanciava in
un vero e proprio elogio del sommerso pronunciando al Tg4, in tema di
Cig alla Fiat, le seguenti parole: "Gli operai che resteranno fuori
dagli stabilimenti per alcuni mesi […] troveranno certamente un
secondo lavoro, magari non ufficiale, dal quale deriverebbero entrate
in più in famiglia".

La realtà è che il governo con i 22 condoni fiscali e previdenziali
attuati ha dato un segnale preciso non solo di non voler combattere, ma
anzi di voler incoraggiare il lavoro nero e le evasioni. Lo dimostra
anche la sorte fatta subire a istituzioni in passato importanti come il
Secit (il cosiddetto servizio dei superispettori tributari) ridotto
ormai ad una specie di ufficio cassa per erogare compensi aggiuntivi a
una corte di collaboratori del ministro dell’economia e del suo capo di
gabinetto.

Il Governo ha adottato condoni fiscali ed edilizi per fare cassa alla
svelta e poter sostenere di non mettere le mani nelle tasche degli
italiani. Come si sa, i condoni, però, procurano entrate nel 
breve periodo, ma le fanno venire meno nel medio-lungo termine. I
condoni inoltre, minano la credibilità dello Stato, danneggiano i
contribuenti onesti e spiazzano i consulenti fiscali più coscienziosi,
distolgono l’Amministrazione finanziaria dai propri compiti,
costituiscono un incentivo ad evadere. Essi rappresentano, insomma, una
vera e propria “eutanasia” del fisco. Del resto, è stato proprio
l’attuale presidente del Consiglio Berlusconi nel 2004 a dichiarare
testualmente: “Se lo Stato ti chiede più di un terzo di quello che
guadagni c’è una sopraffazione nei tuoi confronti e allora ti ingegni a
trovare sistemi elusivi o addirittura evasivi, ma in sintonia con il
tuo intimo sentimento di moralità”. Abbiamo avuto così una
legittimazione “morale” dell’evasione fatta da un governo: cosa forse
mai accaduta prima nella storia.

Non c’è quindi da stupirsi che l’evasione sia aumentata negli ultimi
anni, e che non si sia preso alcun provvedimento serio per
contrastarla. Anzi, i provvedimenti sono stati in controtendenza, e tra
questi va citata almeno  la famosa legge ex-Cirielli,
sull’accorciamento dei termini di prescrizione. Tra i reati per i quali
viene accorciato da 10 a 6 anni il termine di prescrizione è compreso
anche quello riguardante l’emissione di fatture false. Si chiudono
quindi molti processi riguardanti questo tipo di reati, diminuisce per
il futuro il deterrente rappresentato dalla sanzione penale. Gli
evasori ringraziano.
E’ proprio l’aumento dell’evasione che ha determinato la caduta del
gettito che si riscontra nei conti pubblici (dal 42.2 percento del Pil
nel 2001 al 40.9 percento atteso per il 2005). Infatti, a differenza di
quanto sostiene il governo, tale caduta non è stata il frutto di una
politica di diminuzione delle imposte: l’analisi delle relazioni
tecniche preparate dal governo ed allegate ai circa 300 interventi di
natura fiscale e tributaria approvati dalla maggioranza berlusconiana
indica chiaramente che le misure fiscali introdotte avrebbero dovuto
comportare, a fine 2005, un incremento del prelievo pari a circa 1,7
miliardi di euro (0,1 percento del Pil) rispetto al livello di inizio
legislatura. Le minori imposte dirette (ridotte con interventi
regressivi) sarebbero dovute essere compensate dalle maggiori imposte
indirette se non fosse aumentata l’evasione. In sintesi, è accaduto che
i lavoratori ed imprenditori adempienti hanno pagato di più, mentre i
furbi hanno evaso di più.


Le imposte come male in sé e non come strumento per far funzionare le istituzioni e garantire i servizi

In questi anni il tema della leva fiscale è stato strumentalizzato in
modo ideologico e populista al fine di perseguire l’obiettivo della
riduzione indiscriminata dell’imposizione fiscale identificata come un
“male in sé”, una gabella “estorta” dallo Stato “inefficiente e
sprecone". Tanto più grave è ciò in quanto a farsene portatore è
proprio chi –al governo- è responsabile del dissesto della finanza
pubblica e della legittimazione dei peggiori comportamenti
opportunistici. Le imposte non sono mai buone o cattive in sé, ma lo
sono solo e in quanto sono lo strumento che permette di far funzionare
le nostre istituzioni e garantire ai cittadini quei servizi quelle
prestazioni che rafforzano la coesione sociale, lo sviluppo, il
godimento dei diritti fondamentali anche da parte delle classi più
disagiate.

Consapevole di tutto ciò, il 75 per cento degli italiani ritiene che la
lotta all’evasione sia un’emergenza prioritaria del Paese. L’opinione
pubblica  ha ben chiaro lo stretto rapporto che esiste tra
prelievo fiscale e servizi di cui tutti i cittadini usufruiscono. Senza
imposte non potrebbero essere finanziate la sanità, la scuola, le forze
di polizia,  la giustizia, le infrastrutture pubbliche. I diritti,
tutti i diritti, infatti, esistono effettivamente non solo se
l’ordinamento giuridico li riconosce e li tutela, ma anche se un paese
è disposto a devolvere ad essi risorse. L’imposizione fiscale, quindi,
non è altro che la quota che tutti i cittadini dovrebbero pagare per
far parte di una società degna di questo nome.
Da tutte le indagini e i sondaggi fatti recentemente risulta che i
cittadini e le imprese hanno compreso chiaramente che le riduzioni
fiscali di questi ultimi anni sono  state finanziate con tagli a
servizi sociali fondamentali, con il degrado della scuola e dei servizi
pubblici, con ritardi e rinvii dei pagamenti dovuti dalle pubbliche
amministrazioni alle imprese.


Le penalizzazioni subite dai cittadini a reddito medio-basso

A subire i maggiori danni delle Finanziarie delle legislatura che si è
conclusa sono stati soprattutto pensionati e lavoratori a reddito medio
basso che sono stati colpiti dai tagli ai servizi essenziali,
dall’aumento di tariffe pubbliche e imposte locali.
In base alle rilevazioni della Banca d’Italia, infatti, il potere
d’acquisto dei lavoratori dipendenti è diminuito mediamente del 2,1 per
cento nel periodo 2002-2004. In questi tre anni, in sostanza, la
condizione dei lavoratori è tornata indietro.
Ciò è dovuto soprattutto alla mancata restituzione del drenaggio
fiscale, all’aumento del costo della vita e delle imposte indirette
come l’imposta di bollo e le tasse gravanti su gasolio e benzina, che
essendo proporzionali si gonfiano mano a mano che il prezzo del
petrolio aumenta, senza che il governo abbia fatto nulla per
controbilanciare con sgravi fiscali questo grave fenomeno. In questa
situazione la riforma del sistema fiscale (con le tanto vantate
riduzioni dell’Irpef) anziché cercare di sostenere i redditi più bassi
si è preoccupata soprattutto di favorire quelli più alti.  

Con il primo modulo Tremonti, in vigore dal 2003, la riduzione del
carico fiscale per questi tipi di redditi è stata in effetti del tutto
insignificante. Ad esempio un lavoratore dipendente con reddito di
26.000 euro ha ottenuto un risparmio pari a 61 euro (5 euro al mese).
Il pensionato con un reddito di 13.000 euro ha risparmiato 206 euro (17
euro al mese). Un lavoratore autonomo con reddito di 28.000 euro ha
guadagnato 35 euro.
Con il secondo modulo, in vigore dal 2005, è vero che è stata ampliata
la no tax area (o meglio, sono state trasformate le vecchie detrazioni
familiari in deduzioni dal reddito), ma questo allargamento non è
generalizzato ma riguarda solo casi limite, cioè situazioni familiari
difficili (laddove ci sono molti carichi familiari) e non sempre.
L’operazione cardine di questo secondo modulo è stata invece la
notevole riduzione delle aliquote fiscali che hanno incassato i
possessori dei redditi più elevati (ben 6 punti percentuali per i
redditi tra 70 e 100mila euro, 2 punti percentuali per tutti i redditi
sopra i 100mila euro) che in tal modo hanno ottenuto un risparmio
fiscale di gran lunga più elevato rispetto all’obolo concesso ai
redditi più bassi con il primo modulo di riforma.


I privilegi dei contribuenti a più alto reddito e delle società

Il nostro sistema fiscale si è collocato senza esitazioni, nella scorsa
legislatura, sempre dalla parte dei titolari dei redditi più alti.
Possiamo vederne alcuni esempi:
1- Milioni di euro di guadagni realizzati con la vendita di azioni dai
grossi personaggi della finanza o dai ricchi immobiliaristi sono di
fatto completamente detassati. Il Governo si è rifiutato di aumentare
la tassazione sulle rendite finanziarie accentuando così le ditorsioni
del sistema fiscale italiano che, favorendo la rendita, penalizza gli
investimenti produttivi ed il lavoro,

2- Con l’ultima legge Finanziaria il governo ha ridotto la tassazione a
beneficio di coloro che realizzano forti guadagni comprando e
rivendendo immobili ad uso residenziale. Fino a ieri chi realizzava
questi guadagni veniva tassato con le aliquote Irpef; adesso, grazie
alle innovazioni introdotte dalla Finanziaria 2006, viene tassato con
un’aliquota secca del 12,5 per cento. Pertanto, se un affarista che
specula sugli immobili guadagna, magari in pochi mesi, la somma di
100.000 euro, pagherà, grazie alle nuove norme, 12’500 euro. Se i
100’000 euro in più sono invece guadagnati da un professionista o da un
dipendente col proprio lavoro di un anno, costoro pagheranno circa
40’000 euro di Irpef.

3- Se un azionista di minoranza di una o più società rivende le sue
azioni dopo uno o due anni, guadagnando 100’000 euro, pagherà di
imposte il 12,5%.
Se un titolare di un’impresa artigiana o commerciale rivende la sua
proprietà o quota maggioritaria di proprietà dopo 30 anni di attività
guadagnando gli stessi 100’000 euro, pagherà  l’aliquota marginale
Irpef , variabile tra il 30% ed il 45%.  

4- Se un lavoratore dipendente riceve un qualunque compenso accessorio,
in denaro o in natura, dal datore di lavoro, questo è assimilato al
reddito di lavoro e deve essere tassato con le aliquote Irpef.
Se il compenso accessorio viene corrisposto al top manager di
un’impresa sotto forma di stock option, ossia di azioni messe a
disposizione a prezzo di favore, e il manager le rivende quando il
mercato azionario è in crescita, il guadagno così realizzato non viene
tassato con le aliquote Irpef ma con un’aliquota secca del 12,5 per
cento. E’ noto, ad esempio, che una trentina di megadirigenti nel 2005
hanno guadagnato con il meccanismo delle stock option oltre un milione
di euro. Tra loro c’è chi ha sommato allo stipendio (circa 3 milioni di
euro) 9,89 milioni di euro di plusvalenze da stock option per un totale
di 13 milioni, pari a oltre 400 volte lo stipendio medio dei suoi
dipendenti. Per i 35 dirigenti i cui guadagni sono stati resi noti
dalla stampa è stata stimata quale sarà la perdita per l’erario e per
l’Inps: ben 89 milioni.

5.- Se un qualunque contribuente affitta un immobile ad uso commerciale
è tenuto a pagare l’Irpef sul guadagno così conseguito, scontato del
15%; ma se il proprietario di un castello o di una nobile dimora
storica lo affitta (magari a prezzi da capogiro) a un paperone tipo
Bill Gates o ad una società di catering che vi organizza lussuosi
eventi, non paga l’Irpef sul guadagno così conseguito ma sulla rendita
catastale. Attenzione: non sulla rendita del castello ma su quella
dell’immobile di minor valore situato nella stessa zona – fosse anche
una catapecchia.

6. La tassazione del Tfr, per l’assenza della clausola di salvaguardia,
dal 2002 è aumentata (circa 1 miliardo di euro l’anno). Con il lo
scorso 31 dicembre è scaduta una norma transitoria in vigore dal 2000,
e tutti coloro che lasceranno il lavoro a partire dal primo gennaio
perderanno la detrazione di 61,97 euro l’anno prevista fino all’entrata
in vigore della riforma del TFR. Riforma che però è slittata al
2008.  In pratica, chi ha lasciato il lavoro entro il 2005 ha
fruito per intero della detrazione – per la precisione, 309,85 euro –
mentre chi lascia il lavoro nel 2006  pagherà per intero le tasse
sul Tfr senza neppure un euro di abbattimento.

7. Mentre per le pensioni pubbliche con il primo modulo Tremonti è
stata abolita la specifica detrazione per i pensionati
ultrasettantacinquenni e fissata una no tax-area ridotta rispetto a
quella dei lavoratori dipendenti, per le pensioni complementari, il
decreto Maroni prevede un’imposta uguale per tutti pari al 9 per cento
che favorisce gli alti redditi  e viola il principio
costituzionale della progressività.

8. Sempre della Finanziaria 2006 va ricordata la norma che attribuisce
personalità giuridica fiscale ai distretti industriali, consentendo
alle società che risultano cronicamente in perdita (e che quindi sono
in forte sospetto di evasione) di scaricare le loro perdite sui
distretti, che così funzioneranno da vere e proprie “bare fiscali”. E’
stato calcolato che a regime questa innovazione potrebbe provocare una
perdita per l’erario quantificabile attorno ai dieci miliardi.


Cinque domande alle forze politiche

1.E’ ammissibile che sui redditi da lavoro gravino imposte molto più
pesanti di quelle a carico delle rendite finanziarie e che le enormi
ricchezze derivanti dalla speculazione finanziaria e immobiliare non
paghino poco o nulla?

2.E’ giusto che le società possano facilmente ricorrere a innumerevoli
strumenti di elusione (es. attraverso bare fiscali) per ridurre il loro
debito fiscale?

3.E’ ancora tollerabile la presenza di un ampio numero di società di
comodo costituite al solo fine di poter dedurre i costi di gestione, di
panfili, ville e altri beni di lusso?

4.E’ da considerarsi civile e moderno un Paese in cui chi eredita
grandi ricchezze non debba dare nessun contributo alla solidarietà
generale?

5.E’ giusto e rispettoso dei principi costituzionali continuare a
prevedere che una minoranza di contribuenti possa, ancora una volta,
condonare quanto evaso e concordare anticipatamente la base imponibile
mentre la maggioranza dei contribuenti paga le tasse fino all’ultimo
centesimo del proprio stipendio o della propria pensione?

Noi crediamo di no e che si debba fare qualcosa contro queste ingiustizie, per l’equità e la legalità fiscale.


Appello per l’equità e la legalità fiscale

Facciamo appello a tutte le forze politiche in competizione per le
prossime elezioni affinché si impegnino, qualora fossero chiamate a
partecipare al prossimo governo, a ripristinare un equo trattamento
fiscale nei confronti dei redditi bassi e medio bassi, fortemente
penalizzati dai provvedimenti adottati nella scorsa legislatura.
Chiediamo un impegno serio a tutte le forze politiche per una politica
fiscale, funzionale allo sviluppo e non alla tutela della rendita, che
rappresenti una discontinuità totale con il recente passato. In
particolare, riteniamo che le future forze di governo dovranno
impegnarsi solennemente a non prevedere mai più, per tutto l’arco della
prossima legislatura, provvedimenti di condono (non solo in campo
fiscale ma anche edilizio e ambientale) e ad eliminare tutte le più
stridenti situazioni di disparità che penalizzano i redditi
medio-bassi, che invece dovrebbero essere i primi ad essere fiscalmente
avvantaggiati. Riteniamo altresì che esse debbano impegnarsi ad
affrontare, a livello europeo e multinazionale, il tema della
competizione fiscale tra paesi nel quadro di una giustizia fiscale
globale.

E’ per questo che invitiamo singoli esponenti della società civile,
Associazioni, studiosi della materia a dare vita ad una grande campagna
di discussione per riportare finalmente al centro della politica
questioni decisive per il futuro dell’Italia. Le adesioni
all’iniziativa e i materiali e gli studi di approfondimento saranno
pubblicati sul sito: www.contrappunti.info. E’ inoltre nostra
intenzione, a partire dall’inizio della prossima legislatura, di dare
vita a un osservatorio permanente e ad un centro di iniziative sulle
politiche fiscali a livello nazionale e locale con l’obiettivo di dar
voce alla gente comune contro le lobby al servizio dei grandi interessi.

 9 marzo 2006


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