IL GIORNO DELLA FINE DEL MONDO

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(9.1.09) No, non è il titolo di un film di fantascienza, è una traduzione possibile di Overshoot Day, il giorno dell’anno in cui l’umanità esaurisce le risorse prodotte nello stesso anno dal pianeta e prosegue a vivere fino a fine anno intaccando le riserve. Ancora negli anni 50 consumavamo ogni anno metà delle risorse della Terra, negli anni 80 siamo arrivati al 100%, poi il “giorno della fine del mondo” ha cominciato a indietreggiare, dal 31 dicembre del 1985 al 7 ottobre del 2006 al 23 settembre del 2008. Siamo nei guai, e continuiamo a suonare i soliti temi dello sviluppo e della crescita del PIL, come l’orchestra del Titanic.

di Gino Nobili
Il bellissimo Mon Oncle d’Amerique di Alain Resnais, film francese del 1980, dopo averci schiaffeggiato mostrando che i nostri comportamenti cosiddetti evoluti non sono poi così diversi sintatticamente dei riflessi condizionati dei topolini da laboratorio, chiude con il colpo da ko di una inquadratura strettissima di qualcosa di incomprensibile che allontanandosi e allargandosi si scopre essere un mosaico. Niente si vede bene troppo da vicino.
 

Così oggi più di uno si dice, di fronte agli ultimi mesi freddi e piovosi, che le discussioni sull’innalzamento della temperatura e l’effetto serra degli ultimi anni erano oziose e false. E altri potrebbero pensare, di fronte al crollo del prezzo del petrolio degli ultimi mesi, che parimenti allarmistiche erano le notizie sull’imminente esaurimento del prezioso idrocarburo.

PETROLIO, DIAMO I NUMERI
Vero è che l’esplosione del prezzo del greggio fino al record di luglio di 147 e rotti dollari al barile era essenzialmente frutto di speculazione finanziaria. Ma è altrettanto vero che le stime sulle scorte di petrolio susseguitesi dagli anni 60 ad oggi hanno sempre di più registrato una convergenza sulla cifra di 2000 miliardi di barili complessivi. Stiamo parlando, per essere chiari, di tutto il petrolio che il pianeta è stato in grado di generare in milioni di anni. Di questo, dall’inizio della rivoluzione industriale abbiamo già consumato oltre 1000 miliardi di barili: la metà, in duecento anni, di quanto se ne è formato in tutto il resto della vita del pianeta. Il picco, il vertice della curva, è stato superato nel 2007.
Questo, per chi si facesse ingannare dall’aritmetica, non significa affatto che ne abbiamo per altri 200 anni, perché nel frattempo la popolazione globale è decuplicata e continua a crescere, i consumi si sono moltiplicati per decine e decine di volte, la forbice tra consumo annuo e scoperta di nuovi giacimenti si è invertita nel 1985 e da allora si è allargata di continuo, e l’estrazione si fa sempre più profonda e costosa.
Questi sono i numeri(1) con cui avere a che fare:

  • viene dal petrolio il 40% di tutta l'energia primaria mondiale, il 90% di tutta l'energia usata per i trasporti
  • in Italia (dati 2005) il consumo pro-capite è di 5 litri di petrolio al giorno, un barile (159 litri) al mese: una famiglia di 4 persone in un anno ne consuma 7760 litri (quasi un’autocisterna)
  • il mondo consuma circa 25 miliardi di barili di petrolio all'anno, due terzi dei quali per carburanti a questo ritmo, dunque, ci rimangono 40 anni, ma la frase “a questo ritmo” non ha senso, perché i consumi continuano a crescere, grazie soprattutto a Cina e India.
Se guardiamo all’intera durata della civiltà umana, dunque, l’era del petrolio e in genere dei combustibili fossili, cui è legata la rivoluzione industriale, è destinata ad essere una brevissima parentesi: un paio di secoli su svariati millenni. Si perché il picco del petrolio sarà seguito a breve da quello del gas naturale, e tra alcuni decenni da quello del carbone (che però ha anche le peggiori ricadute sull’effetto serra e quindi va abbandonato prima degli altri) e da quello dell’uranio: si, al di là di ogni valutazione ambientale ed economica (peraltro sopravanzanti per decretarne l’impraticabilità) anche la scelta del nucleare deve fare i conti con la finitezza delle risorse.
Se anche quindi incidentalmente il suo prezzo nel breve termine può calare, nel medio/lungo termine il petrolio è destinato a diventare un bene sempre più raro e prezioso, come dimostra il fatto che già da un paio di decenni alcune delle zone di maggior produzione sono teatro di guerre neocoloniali mascherate da lotta al terrorismo. Lo stesso discorso negli ultimi mesi si può fare per il gas, e qui il teatro è intorno alla Russia e ad alcuni Paesi già del blocco sovietico: la Georgia è storia recente, l’Ucraina è cronaca.

L’ACQUA ALLA GOLA
L’uomo si è sempre comportato come se le risorse del proprio pianeta fossero inesauribili. Questo perché lo erano nella sua percezione. E questa percezione ha corrisposto virtualmente al vero fino a pochi decenni fa. Poi, il valore economico delle risorse stesse era proporzionale al grado di difficoltà nel reperirle. Per cui, risorse apparentemente raggiungibili immediatamente da tutti non avevano valore economico. L’aria, l’acqua. Il fatto che non sia più così è testimoniato, nel nostro piccolo, da una legge fatta approvare alla chetichella l’estate scorsa dal nostro ineffabile governo. Anzi, un Decreto-Legge (che dovrebbe essere riservato ai casi di “necessità e urgenza”) che rende l’acqua una merce aprendo ai privati la gestione dell’erogazione. Al di là della questione di principio, in Italia c’è il problema ulteriore che abbiamo visto che praticamente tutte le privatizzazioni si sono risolte in un peggioramento dei servizi a costi maggiorati per gli utenti. E ovviamente il silenzio della stampa ufficiale specie televisiva sulla norma in questione è stato assordante.
Ma al di là delle solite beghe nazionali, è a livello globale che il problema acqua minaccia di essere ancora più esiziale di quello petrolio. Diamo ancora i numeri(2):

  • il 97,5% di acqua è di mare, salata, non adatta per l’uso umano
  • del restante 2,5 la maggior parte è racchiusa nelle calotte di ghiaccio
  • il fabbisogno fondamentale di acqua a persona è stato calcolato in circa 50 litri al giorno, riducibili con qualche sforzo a circa 30: 5 per mangiare e bere e altri 25 per lavarsi
  • in molti paesi africani sono disponibili cadauno meno di 10 litri al giorno: in Gambia 4,5, in Mali 8, in Somalia 8,9 e in Mozambico 9,3
  • tanto per avere un’idea della differenza, ogni statunitense ne consuma in media 500 litri al giorno, ogni europeo circa 200: di solito, noi occidentali usiamo 8 litri d’acqua al giorno per lavarci i denti, una ventina per lo sciacquone, da 100 a 200 litri per ogni doccia
  • produrre il cibo richiede acqua, questo lo capiamo tutti, ma non abbiamo idea di quanto: in realtà, per produrre un chilo di patate servono circa 1.000 litri d’acqua, di cereali circa 1500, di pollo 4.500, di manzo oltre 40mila!
Questo autunno piovoso non significa nulla di fronte alle drammatiche avanzata dei deserti e ritirata dei ghiacciai degli ultimi decenni: le guerre per l’acqua potrebbero seguire quelle per l’oro nero, se non si ferma il riscaldamento globale e non si cambiano modelli di consumo. Un adulto non ha bisogno di carne rossa tutti i giorni, forse nemmeno tutte le settimane… e gli allevamenti intensivi sono inoltre fonte rilevantissima di gas serra, e sottraggono terre alla coltivazione per l’alimentazione umana e alla biodiversità agricola.

TUTTO E’ TERRA
Si lo so, avevamo già detto che stringi stringi qualsiasi cosa può essere misurata in termini di superficie del pianeta necessaria a produrla. Ma i dati peggiorano di anno in anno(3): oggi la biocapacità globale pro-capite (la superficie a disposizione in media per ciascun essere umano) è di 2,1 ettari, mentre l' impronta ecologica globale pro-capite (la superficie che ciascun essere umano di fatto usa per vivere in un anno) è di 2,7 ettari. In media, perché ad esempio uno statunitense ha bisogno per il suo stile di vita di 9,4 ettari: se tutto il mondo adottasse quello stile ci vorrebbero 4 o 5 pianeti come la Terra per fornirgli le risorse. Insomma, lamerican way of life è insostenibile:  non è un caso che la crisi in corso sia partita proprio dagli Usa, e la bolla finanziaria può essere interpretata come l’ultimo disperato tentativo di quel sistema di reperire truffaldinamente i mezzi per sostentarsi, l’elezione di un presidente che mette le energie rinnovabili al primo punto del programma come il primo passo verso un disperato tentativo di trovare un punto di compatibilità tra lo sviluppo economico e la vita pacifica nel pianeta. Un segnale molto positivo di autocoscienza, cui però devono seguire i fatti.
Ma anche il resto dell’opulento occidente non può dormire sugli allori: ogni italiano, ad esempio, ha un'impronta ecologica di 4,8 ettari globali ma la biocapacità pro-capite del nostro territorio così montuoso e densamente popolato è solo di 1,2 ettari!
Un asiatico o un africano in media vive con meno di un ettaro, ma cinesi e indiani hanno visto aumentare enormemente la loro impronta procapite negli ultimi decenni, e trattandosi di miliardi di persone anche un incremento individuale minimo ha un impatto sul pianeta devastante…

UN ALTRO PIANETA
Non essendo in grado di colonizzare altri mondi, la specie umana si trova quindi di fronte a un bivio: programmare il proprio impatto sulla Terra in un modo che per molti si tradurrà in un cambiamento netto di filosofia di vita, o affrontare la serie di sciagure che deriverà dall’inerzia in questo momento.
La marcia indietro del governo italiano sugli incentivi ecologici non stupisce: con le centrali nucleari gli amici degli amici ci guadagnano molto di più, e a questa classe politica non interessa nient’altro. Gli italiani si tengono caro Berlusconi per poter continuare ancora a vivere nei craxiani anni 80, come se non avessero figli o se la fine del mondo fosse vicina…
Per fortuna il nostro sciagurato Paese conta poco nel mondo, e i proclami di Obama lasciano sperare che si trovi presto quel “moltiplicatore tecnologico” che può darci perlomeno tempo se non la soluzione: non potendo aumentare la superficie del pianeta, l’unica è aumentarne la biocapacità. E le energie rinnovabili, quelle stesse che l’umanità ha usato per millenni fino all’era dei carburanti fossili, sono l’unica soluzione a nostra disposizione, se la tecnologia riesce a renderle competitive.
Si badi bene che non è poi tanto un obiettivo utopico: probabilmente la potenza della lobby petrolifera è la spiegazione principale della quasi totale mancanza di significativi investimenti in ricerca e sviluppo nel settore. ma nonostante questo, ad esempio(4) le celle fotovoltaiche, realizzate per la prima volta solo 50 anni fa, che ancora qualche anno fa avevano un’efficienza energetica del 15% circa (già molto di più della fotosintesi naturale delle piante, che va dall’1 al 3%), oggi raggiungono il 20 e anche il 30% circa. Se si pensa che il limite teorico è di oltre l’80%, si capisce che gli sforzi devono essere tutti tesi a che pian piano questa diventi la forma normale di produzione dell’energia elettrica, a cominciare dalle case isolate e dai centri abitati di piccole e medie dimensioni. E’ stato calcolato che in teoria sarebbe sufficiente coprire molto meno dell’1% del territorio planetario per ottenere tutta l’energia elettrica attualmente impiegata sul pianeta. Ma in attesa di tutto ciò, l’autoproduzione a partire dalle piccole e medie imprese e giù alle famiglie dovrebbe  essere portata anche con incentivi a divenire la regola, magari diversificando tra fotovoltaico, solare termico (per l’acqua calda e i riscaldamenti) e microeolico.

note:
(1) http://www.aspoitalia.it/, in particolare il manifesto

 

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