FELIX CULPA, LO SGAMBETTO A PRODI POTREBBE RENDERLO PI? FORTE. VEDREMO SE DURA

folliniNon è escluso – ma è un'ipotesi sospesa al filo dei numeri – che la scelta di far cadere il governo Prodi, per una strana eterogenesi dei fini, possa portare al suo rafforzamento. Sia per una attenta blindatura degli obiettivi (vedi i famosi dodici punti ai quali Prodi ha condizionato la sua accettazione del reincarico) sia per la possibile aggregazione di nuove forze provenienti dal centro, sull'esempio dato dal senatore Follini. Potrebbero così migliorare anche la comunicazione e la stessa immagine del governo, finora compromesse dalle risse furibonde dei suoi ministri. Frattanto il Vice Presidente Rutelli ha presentato in pompa magna il nuovo logo “Italia” destinato a caratterizzare tutta la promozione dell'offerta turistica del nostro paese: un prodotto di una bruttezza unica, fatto da sei caratteri scritti con quattro font diversi, simbolo perfetto  della confusione delle idee che caratterizza questa fase politica

articolo di Giancarlo Fornari

Si può fare del sarcasmo, e anche noi l’abbiamo fatto, sui due senatori dell’ultrasinistra che hanno costretto Prodi alle dimissioni, si può anche cercare di schiaffeggiarli incontrandoli in treno, cosa che noi non avremmo mai fatto, ma non si può negare che almeno per il momento la loro mossa abbia contribuito, per una specie di eterogenesi dei fini, a rendere meno squilibrato verso l’estrema sinistra il suo governo e a dare allo stesso Prodi una forza che sinora non aveva mai avuto o mai esercitato. 


La mancata svolta

Diciamo la verità, fino ad ora la grande svolta politica che il paese si attendeva e per la quale anche questa rivista si è tanto spesa prima delle ultime elezioni, era stata appena sfiorata. Dal punto di vista della comunicazione, che è quello di cui ci interessiamo in modo professionale, la prova della maggioranza – condizionata da violenti battibecchi quotidiani tra i suoi ministri – è stata disastrosa, tanto che specie nei primi tempi sembrava di assistere, anziché alla prestazione di una “squadra”, a una replica della “Prova d’orchestra” di Fellini. E quanto più questa divisione pressoché totale non solo della cosiddetta coalizione ma della stessa compagine di governo diventava ingombrante e preoccupante, tanto più Prodi – altro grave errore di comunicazione – si affannava a negarla. La sua coalizione era più che mai “coesa”, dichiarava dopo ogni scontro, rischiando di trasformare la sua immagine di curato di campagna in quella, molto meno credibile, di un venditore di auto usate.
Il primo, forte provvedimento governativo è stato l’indulto, deciso “perché l’aveva chiesto il Papa” ma realizzato in un modo tanto goffo da alienarsi le simpatie di buona parte degli elettori dello stesso centrosinistra. Degni di nota solo i provvedimenti di alcuni ministri Ds, come le misure contro l’evasione di Visco o quelle di liberalizzazione di Bersani o l'innovativa politica estera di D’Alema. Per il resto l’azione del governo è stata condizionata dall’estremismo parolaio delle sue componenti verdi e comuniste. Basta pensare all’opposizione espressa all’invio in Afghanistan di un modello di aereo di ricognizione senza pilota e senz’armi che poteva essere di utile supporto per la protezione dei nostri soldati, e perché? Perché si chiama Predator: “con questo nome –  hanno detto – come potremmo sostenere che quella in Afghanistan è una missione di pace”? Viene da pensare ai romani del Giulio Cesare di Shakespeare, che infiammati dall’arringa di Antonio corrono al linciaggio dei congiurati osannati fino ad un attimo prima e che avendo trovato un poveretto del tutto innocente lo fanno a pezzi, nonostante le sue proteste, perché ha il torto di chiamarsi come uno di loro. Ma quelli descritti da Shakespeare erano popolani eccitati da un tragico evento politico, questi sono coloro a cui sono affidate le sorti del nostro paese. La realtà è che dopo il 10 aprile siamo passati dai Calderoli e i Borghezio di destra ai Calderoli e i Borghezio di sinistra, non  è stato un grandissimo guadagno.

Galleggiare sul programma
Prodi per tutto questo tempo ha vivacchiato appeso a queste frange di nostalgici di un sole dell'avvenire che non è mai sorto, servendosene, in un gioco di sostegno reciproco, per tenere tra due fuochi i Ds di cui teme la forza, convinto che la sua pratica di minimizzare e rappezzare qua e là alla meglio i dissensi dopo la loro esplosione (e non, come sarebbe stato invece doveroso, intervenendo con la sua autorità “prima”, in modo da evitare che esplodessero), avrebbe potuto durare all’infinito. Ma alla fine il suo rapporto preferenziale con l’ultra sinistra è stato spezzato con la scelta dell’ampliamento della base di Vicenza, così come il rapporto di cauta non belligeranza con il Vaticano è stato spezzato con la scelta di portare in Parlamento i Dico. Sono arrivate così le pugnalate dei due campioni dell’antiamericanismo, Rossi e Turigliatto, e quelle dei due campioni del clericalismo, Andreotti e Cossiga.
Ha fatto dunque benissimo D’Alema a mettere nell'angolo un Presidente del Consiglio che con stile democristiano avrebbe preferito ancora una volta, di fronte al dissenso platealmente espresso, far finta di niente seguendo la prassi “sopire, chetare” del manzoniano Conte Zio. Ha fatto benissimo a dirgli, “Qui è Rodi, e qui  salti”. E bene  ha fatto Napolitano a convocarlo al Quirinale, chiedendogli di restare ma solo a patto di aprire una nuova, più solida fase politica.

Finalmente, i costi della politica
Adesso si può sperare – anche se sarà molto difficile – che come ebbe ad auspicare su questa rivista sin dal giorno dopo le elezioni il nostro Gino Nobili, possano essere solo il Presidente del Consiglio e il suo portavoce a comunicare la politica governativa. Adesso – sia pure appesa al filo molto sottile di una maggioranza che a volte c’è e a volte no, dipende da un soffio di vento e dalle scelte di gente come i De Gregorio e i Pallaro, o magari dei siciliani dell’MPA che per votare la fiducia hanno chiesto niente di meno che il Ponte sullo stretto – potrebbe cominciare veramente la fase due che in molti aspettavamo.
Il dodecalogo del Prodi bis, su cui si è pure ironizzato, al di là del tardo-politichese con cui  è scritto contiene impegni che meriterebbero di essere valorizzati, a cominciare da quella lotta ai costi e soprattutto agli sprechi della politica che rappresentano uno dei mali più gravi del Paese. Costi come quelli delle ambasciate lussuose impiantate dalle Regioni e dai maggiori Comuni a Bruxelles ma anche a New York o a Parigi, delle Commissioni moltiplicate solo per distribuire prebende  – per cui in Campania c’è una Commissione “del Mare” ma anche una “del Mediterraneo” entrambe abbondantemente supportate da consiglieri segretari e portaborse. Di questo passo sarebbe stato bello fare anche una Commissione “del Vesuvio” e una “del Vulcano”, peccato non ci abbiano pensato.
Non è da meno la Regione Lazio, che costretta a mettere sotto il torchio fiscale i suoi malcapitati cittadini per colpa di un bilancio in profondo rosso trova ancora il coraggio di distribuire a pioggia 25 milioni di euro per feste, sagre e karatè: finanziate tra le altre la sagra della bruschetta di Lariano, l’associazione camperisti di Guidonia, il gemellaggio (?) tra il comune di Acquapendente e il VII municipio romano insieme a diverse associazioni di arti marziali.

Un caso a parte
quello della Regione Veneto, che ha stanziato oltre 430.000 euro per l’acquisto di 13 auto blu extralusso per il Presidente e gli assessori regionali (caratteristiche richieste nel bando, 3000 cc di cilindrata, trazione integrale,  lunghezza non inferiore a 480 cm, navigatore satellitare, selleria in pelle, climatizzatore automatico, cristalli laterali e lunotti scuri: una scelta che di fatto esclude qualunque auto italiana).
Continua intanto a crescere il numero dei comuni in dissesto, oltre un centinaio tra Lazio, Campania e Calabria. Il guaio è che tutti questi dissesti sono pagati da gravi inasprimenti delle tasse locali. A fronte di una sostanziale stabilità in regioni come la Lombardia, il Molise e la Basilicata, il costo medio a carico di una famiglia per imposte e  servizi locali era già cresciuto nel 2006 del 4% in Umbria e in Piemonte, dell’8% in Liguria, addirittura del 10% in Abruzzo. Mentre i politici e i dirigenti delle Asl hanno aumentato ovunque le loro retribuzioni.  E non mancano casi come quello della Camera che ha in ruolo tre medici pagati 250.000 euro l’anno ciascuno e che ora, visto lo scarso apprezzamento riscosso tra i deputati, gli ha offerto, si dice, cinque anni di scivolo gratuito per andarsene, il che fa un milione e 250.000 euro ciascuno. Con le liquidazioni accordate a questi medici dei parlamentari siamo ancora al di sotto del livello dei Catania e dei Cimoli, vero però che non hanno fatto, né potevano fare, lo stesso danno. 

Guardando dall'esterno si direbbe che i responsabili di questi comportamenti vengano dalla Svizzera, non abbiano il minimo senso della situazione in cui si trova il Paese, del disgusto che questo modo di governare sta suscitando tra la gente comune e del discredito che sta concentrando sull'intera classe politica. Al tramonto della scorsa legislatura due senatori non di poco conto dei Ds, come Cesare Salvi e Massimo Villone, pubblicarono un libro che la nostra rivista recensì giudicandolo “uno dei più bei libri politici scritti negli ultimi anni”, un libro nel quale i costi impropri della politica erano puntualmente e severamente documentati. Ci si poteva aspettare che il governo Prodi facesse di questo libro una specie di manuale del suo operare quotidiano, ma purtroppo si è trattato di una pura illusione.

L'ipocrisia al potere

E che dire dell’ipocrisia manifestata a proposito dei Dico, a cominciare dalla scelta (qui bisogna dar ragione a Mastella) di presentarli come iniziativa di governo, con ciò esponendoli al rischio del muro contro muro mentre presentandoli come iniziativa parlamentare avrebbero forse potuto contare, come è accaduto per l’indulto, su un composito sostegno bipartisan. E l’altra ipocrisia, che confina col ridicolo, di voler mandare i due conviventi uno alla volta  all’anagrafe per non suscitare sospetti neanche alla lontana di un similmatrimonio celebrato nei corridoi dell’anagrafe in modo da farci poi apprendere per raccomandata che siamo stati eletti conviventi (e noi magari neanche lo immaginavamo), come pure l’ultima, astutissima mossa, che però non è valsa a stemperare il fiero risentimento delle gerarchie vaticane, di mandare i Dico a seppellirsi allo stato di progetto nella fossa del Senato (“Non si uccidono così anche i cavalli?”): non sia mai che questa maggioranza, sia pure in una singola lettura alla Camera, avesse osato disubbidire agli ultimatum di Ruini. E non a caso i Dico sono stati i grandi dimenticati nel dodecalogo prodiano, vedremo se e a che cosa questo sacrificio potrà servire.

Il progetto Follini
La possibilità di una svolta legata ai dodici punti prodiani è però, come abbiamo detto prima,  appesa al filo dei numeri. Numeri più meno ballerini, come quelli dei senatori border line alla De Gregorio, più o meno di alto rango come quelli dei Cossiga e degli Andreotti,  più o meno precari come quelli dei Rossi e Turigliatto. Ovvero numeri seri come quelli del senatore Follini, che voterà la fiducia per le ragioni che ha esposte con molta fermezza e serenità in un'intervista di sabato scorso al Corriere della sera. Un’intervista che consigliamo a chi ci segue di leggere perché ci sembra davvero l’esempio di una politica che sa diventare capacità di comprensione e decisione, scelta di mediazioni non volgari ma ispirate a un senso profondo dell’interesse comune. Follini voterà a favore del governo Prodi, ha detto, perché vuole dare una spinta all'emergere di un nuovo centrosinistra, meno influenzato dalle pressioni delle minoranze più laterali e più ancorato al centro. Un progetto di ispirazione riformista  (in cui Follini potrebbe essere – come espressamente si augura – il battistrada di aggregazioni più ampie), è chiaro che non è fatto per piacere né alle forze della sinistra estrema, che vedrebbero messo in discussione il loro potere di interdizione, né a Berlusconi, che già si vede riconfermato premier da un anticipato ricorso alle urne. 
Per non smentirsi l'uomo di Arcore ha detto che la scelta di Follini è il prodotto di un “mercato di voti”, confermando ancora una volta la sua concezione puramente mercantile della politica. Non è che Berlusconi sia in malafede, probabilmente pensa davvero quello che ha detto. Il fatto è che lui non concepisce neppure che possano esserci scelte politiche non motivate da un preciso, concreto interesse personale. Per quanto intelligente, un uomo come Berlusconi non potrà mai capire Follini, perché questi è talmente diverso da lui che neanche sforzandosi riuscirebbe a mettersi nei suoi panni. Gli schemi mentali e i codici comunicativi di Follini sono lontani da quelli di Berlusconi, e per lui impenetrabili.

Il nostro giudizio sulla serietà del progetto Follini non significa, d'altra parte, che questo sia per noi da condividere. Al fondo, quello che il senatore dell'IdM prospetta è un nuovo grande Centro di stampo neo-democristiano. Ritornerebbe così attuale un'ipotesi – quella di dover morire democristiani – che fino a pochi anni fa, dopo lo tsunami di Tangentopoli  e l'avvento del bipolarismo, sembrava ormai definitivamente scongiurata.
Non è detto d'altra parte che mettere nell'angolo la sinistra estrema sia di per sé un fatto positivo. E però, se anche noi siamo convinti che forze come quelle di Rifondazione e del Pdci siano entro certi limiti essenziali per dare voce a un disagio sociale e a spinte politiche che altrimenti rimarrebbero senza rappresentanza, tuttavia non ci sembra utile che a queste forze, comunque minoritarie nel paese, spesso portatrici di un conservatorismo che ci fa rimanere indietro nelle grandi scelte e nelle grandi competizioni dell'economia, debba essere riconosciuta la capacità non solo di “condizionare” (il che sarebbe più che legittimo) ma addirittura di “determinare” la politica di governo. E quanto a morire democristiani, sappiamo che i Dna di questa speciale categoria politica sono tanti e svariati, c'è un Dna democristiano cinico come quello degli Andreotti, opportunista come quello dei Rutelli o dei Casini, integralista come quello dei Fioroni o delle Binetti, ma c'è anche un Dna democristiano serio e se vogliamo perfino nobile come quello dei De Gasperi, dei Vanoni, dei Moro, dei Follini, delle Bindi.

E siccome prima o poi ci toccherà morire, speriamo piuttosto poi che prima, allora dovendo scegliere tra le due alternative, se morire democristiani alla Follini o no global alla Agnoletto o alla Caruso (un giovane che invece del poster di Naomi Campbell tiene appesa in camera da letto la foto di Oreste Scalzone), molto probabilmente sceglieremmo la prima. E non c'è dubbio, in ogni caso, tra morire democristiani o berlusconiani. Ma intanto si tratta di capire se quello del Prodi bis, e del correlato abbraccio dei Follini e magari di altri, con conseguente smottamento al centro del quadro politico, è un progetto che ha un minimo di solidità o è destinato a sciogliersi come le nevi al sole di questo sciagurato inverno primaverile. E se quindi vedremo presto un nuovo inquilino a Palazzo Chigi – magari qualcuno che si sposta solamente da Palazzo Madama – come fase di passaggio per arrivare a nuove elezioni. Lo scopriremo solo vivendo.
 
Confusione dei caratteri/confusione delle lingue

Infine, la fase di confusione mentale che questo paese e la sua classe politica stanno attraversando è confermata dallo strano modello di logo che il Vice Presidente del Consiglio Rutelli ha presentato ufficialmente nei giorni scorsi: un logo – di una bruttezza unica – formato dalla parola “Italia” scritta in almeno quattro caratteri diversi che fanno a pugni tra loro, una specie di Armata Brancaleone della grafica così come la maggioranza (parole di Prodi, riferite in un bell'articolo di Filippo Ceccarelli su Repubblica) lo è della politica. Questo bizzarro logo è l'insegna di un portale Italia.it (realizzato anch'esso da una multinazionale americana) che dovrebbe promuovere nel mondo l'immagine turistica del nostro paese e che è quanto di meno promozionale si possa realizzare in questo campo. Basta confrontare logo e portale con quelli corrispondenti di Spagna, Francia, Germania, e perfino Turchia per rendersene conto. Il tutto – per tornare ai costi della politica – per un totale di oltre 45 milioni di euro stanziati a suo tempo dal ministro Stanca. Ma di questo avremo modo di parlare in un prossimo articolo.

 

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