CONVERTITO IL DECRETO ANTICRISI, RIMANGONO TROPPI DUBBI SUI RISULTATI DELLA STRATEGIA ANTIEVASIONE

(29.1.09) Con la conversione del decreto legge 185 si completa la manovra di bilancio 2009-2011 e diventano definitive le nuove politiche di contrasto all’evasione fiscale. Quanto pesano tali novità nell’economia del bilancio pubblico e quanto sono prevalenti i segnali di rottura o di continuità nella lotta all’evasione?  Secondo l'autorevole opinione del Cer – vedi la nota di Salvatore Tutino nel bollettino diffuso nei giorni scorsi –  sembrano fuori luogo le preoccupazioni di chi denuncia un abbassamento della guardia nella lotta all’evasione. Si sarebbe di fronte non a una diversa tolleranza nei confronti dell'evasione ma a una diversa strategia nell'aggredirla. In parte questo sarà anche vero. Ma i peggioramenti apportati al decreto anticrisi lasciano dubitare che le misure adottate siano in grado di assicurare il conseguimento delle sostanziose risorse che il governo si ripromette di ricavarne. E allora sì che sarebbero dolori.
di Giammarco Partilora

Il decreto anticrisi, trasformato in legge con numerose modifiche – alcune positive, altre peggiorative – completa, almeno per il momento, gli interventi sull'economia realizzati nel 2008 con il decreto legge della “manovra d'estate”, con la legge finanziaria e il decreto “milleproroghe”. Abbiamo detto “per il momento” perché vi sono motivi più che fondati per presumere che il purtroppo ormai scontato inasprimento della crisi imporrà presto altre misure, più incisive, nel tentativo di offrire un sufficiente sostegno all'economia e alle famiglie. Ma su questo diremo qualcosa più avanti.

Intanto ci interessa fare alcune considerazioni sulla manovra 2008 nei termini in cui si è stabilizzata definitivamente attraverso la legge di conversione del decreto anticrisi. Per la cui approvazione il governo, smentendo le precedenti affermazioni, è stato costretto a ricorrere al voto di fiducia, nonostante la larga maggioranza di cui dispone. Evidentemente il ministro dell'economia ha preferito tagliare corto, temendo – di fronte alla grande massa di emendamenti presentati non solo dall'opposizione ma anche dalla sua stessa maggioranza – che si riaprisse l'assalto alla diligenza che trasformava il rapporto tra le forze politiche in una specie di mercato delle vacche in occasione delle finanziarie dei precedenti governi.
Questo non vuol dire, però, che il tessuto originario del decreto sia rimasto completamente indenne dalle pressioni delle corporazioni e dai condizionamenti dei settori più forti della finanza e dell'economia. Tutt'altro. Tracce di “strappi” di questo tipo si trovano qua e là, gravi e meno gravi, in molti dei 35 articoli che formano il testo coordinato del decreto con le modifiche apportate in sede di conversione.

Le modifiche in negativo
Una parte non molto consistente ma significativa delle modifiche introdotte in sede di conversione riguarda microprovvedimenti, norme di carattere marginale se non addirittura futile che non avrebbero dovuto trovare cittadinanza in un decreto “anticrisi”. Anche se la cifra è modesta, non si capisce perché con il comma 18 bis dell'art. 19 si sia voluto stanziare un milione di euro in favore di una Fondazione per la ricerca in oftalmologia (la Fondazione Bietti),  probabilmente benemerita ma certo solo una delle decine e decine di Fondazioni di ricerca – sul cancro, sull'Aids, sulle staminali, eccetera – che sarebbero state altrettanto meritevoli. Su quali Santi in paradiso, per essere l'unica beneficata, ha potuto contare la Bietti?
Intendiamoci, la cosa in sé non ha nulla di scandaloso, specie se ricordiamo che l'anno scorso nella Finanziaria 2008 il governo Prodi fece di tutto e di più: basta citare i due Fondi istituiti per gli OGM, uno per “favorire il dialogo tra scienza e società nel rispetto del principio di precauzione applicato al campo delle biotecnologie”, l'altro per “promuovere a livello internazionale il modello italiano di partecipazione informata del pubblico ai processi decisionali sull'emissione deliberata di organismi geneticamente modificati”. Insomma aria fritta, anzi frittissima ma soldi veri: una dote di ben cinque milioni di euro (tre per il primo Fondo, due per l'altro) da spendere mediante convenzioni da stipulare con fondazioni e associazioni private: tra le quali la favorita, si disse all'epoca,  sarebbe stata la “Fondazione diritti genetici” specializzata appunto nel campo degli OGM e presieduta, guarda un po', da un amico degli amici, il vecchio barricadiero del '68 Mario Capanna (“Formidabili quegli anni”), riciclato in specialista delle tecnologie verdi. Non sappiamo quanti, di quei fondi, siano poi effettivamente approdati alla Fondazione di Capanna, ma certo in fatto di soldi buttati a pioggia nelle direzioni più svariate il governo Prodi non può dare lezioni a nessuno.
Qui siamo in un'altra dimensione, ma quel regalo alla Fondazione Bietti il severo Tremonti se lo poteva risparmiare. Oltretutto all'interno di un articolo intitolato “Potenziamento ed estensione degli strumenti di tutela del reddito in caso di sospensione dal lavoro o di disoccupazione, nonché disciplina per la concessione degli ammortizzatori in deroga”: che ci azzecca? E che ci azzecca l'altra norma, inserita dalla legge di conversione nello stesso articolo, con la quale sono stati stanziati due milioni per il “rimborso delle spese occorrenti per l'acquisto di latte artificiale e pannolini per neonati”? Interventi giustissimi, per carità, nulla a che vedere con la promozione nel mondo del “modello italiano di partecipazione informata del pubblico ai processi decisionali sugli OGM”, ma che potevano – insieme a quello per i portatori di malattie rare introdotto con il comma 1-bis dell'art. 4 – trovare posto in altri provvedimenti.

Si è perpetuato così un modo di legiferare assurdo, consistente nell'imbarcare all'ultimo momento, nei provvedimenti legati alla finanziaria o comunque motivati da reali urgenze, disposizioni contenenti regali spropositati e personalizzati insieme a qualche iniziativa valida, buttate alla rinfusa dove capita capita e recepite, o per meglio dire subite dal governo di turno tanto per non scontentare questo o quel settore della maggioranza, questo o quel centro di potere.

Chi abusa di chi
Ma andiamo avanti. Una volta introdotta nel decreto originario l'estensione anche ai programmi tv della “pornotax”, finora mai applicata per difetto del decreto di attuazione, non si può forse biasimare la Camera per averla  ulteriormente estesa alle trasmissioni televisive che fanno leva sulla credulità popolare. Ma non invidiamo il ministro Bondi che avrà l'impossibile mission non solo di circoscrivere i confini del porno teatrale, letterario e televisivo ma anche quello di stabilire in quali forme si realizzino le diverse attività di circonvenzione del pubblico punibili con la tassazione addizionale. Ad esempio, offrire letture del futuro basate sui tarocchi o sugli oroscopi significa o no abusare della credulità popolare? Già si possono immaginare accesi dibattiti a Porta a Porta tra politici, sociologhi e altri addetti ai lavori: forse che il grande analista tedesco Carl Jung non ha scritto la prefazione al libro cinese degli I-Ching, millenario strumento di divinazione?  I generali romani non hanno conquistato un impero attaccando battaglia quando glielo dicevano gli àuguri? La luna e le stelle non influiscono in modo più o meno misterioso sulla personalità e sugli stessi destini umani?  E in materia di porno, visto che la legge pretende – per l'applicazione della tassa – che l'opera presenti scene contenenti “atti sessuali non simulati”, cosa si dovrà fare: mandare i finanzieri sul set dei film a luci rosse per controllare de visu se il rapporto è stato realmente consumato? Siamo di fronte a norme che comporteranno più costi per stabilire come potranno essere applicate e per sbrogliare l'immancabile contenzioso che benefici per l'erario.  Ma questo forse non importa ai loro promotori.

I costi aggiuntivi
Oltre a queste appendici divagatorie, proprie di una classe politica che sembra baloccarsi con la Barbie senza rendersi conto dell'estrema gravità della crisi a cui il paese si sta affacciando, la legge di conversione ha la responsabilità di aver introdotto alcuni peggioramenti che non solo sono discutibili, come quelli che abbiamo visti finora, ma anche costosi.
Da un lato, infatti, abbiamo l'allentamento di alcuni vincoli di spesa a beneficio della politica di “deficit spending” degli enti locali: vedi per esempio l'articolo 6 bis contenente disposizioni più permissive in materia di disavanzi sanitari delle regioni, vedi il comma 4-bis dell'articolo 18, che paradossalmente parifica il comune di Roma, ai fini dell'esonero dai vincoli del patto di stabilità interno, ai comuni “di nuova istituzione”. Di fronte ai piani di rientro la legge di conversione ha così formalmente decretato che la Roma di Alemanno non è stata fondata da Romolo e Remo (o meglio, Remolo) nel 753 avanti Cristo, come tutti sapevamo, ma nel 2007 dopo Cristo. E' proprio vero che la legge, come dicevano i glossatori medievali, “facit de albo nigrum, aequat quadrata rotundis”, può trasformare  il bianco in nero, i quadrati in cerchi.
Dall'altro lato troviamo nella legge, inserite con gli emendamenti approvati nel corso dell'esame della Camera, alcune previsioni di spesa piuttosto rilevanti, come le riduzioni e dilazioni nei versamenti fiscali in favore dei contribuenti domiciliati nei comuni in provincia di Campobasso e Foggia colpiti dal sisma del 2002. Una misura di solidarietà, indubbiamente, e del resto come si faceva a dire no quando gli stessi benefici erano stati accordati ai contribuenti dell'Umbria e delle Marche danneggiati dal sisma del '97, e dopo la proroga dei benefici per i terremotati del Belice? Giustissimo, ma intanto questa misura comporterà maggiori spese per circa 250 milioni fino al 2011, che verranno prelevati dal Fondo per gli interventi nelle aree sottosviluppate. Come sempre, si chiude un buco aprendone un altro.  
Ma l'intervento più inaspettato non è in favore dei terremotati ma dei giornalisti, il cui ente di previdenza, l'INPGI, è stato miracolato da due commi introdotti nottetempo nell'articolo 19, il 18-ter e il 18-quater. Passi per quest'ultimo, che prevede lo stanziamento di 10 milioni annui per gli oneri derivanti dalle pensioni di vecchiaia anticipate per i giornalisti dipendenti da aziende in ristrutturazione per crisi aziendale. Ma il comma 18 ter, che stabilisce un'altra elargizione di 10 milioni annui – senza limiti di tempo – per finanziare i trattamenti di pensione anticipata erogati dall'INPGI a prescindere da qualunque crisi aziendale ma solo per sfoltire o ringiovanire le redazioni, non sta veramente né in cielo né in terra. Da oggi gli editori di giornali possono mandare tranquillamente in pensione anticipata i giornalisti stanchi del lavoro redazionale: non c'è problema, i loro trattamenti verranno pagati dallo Stato. Ma la Camera non ha soltanto imburrato il panino di editori e giornalisti, ci ha messo pure sopra la marmellata: perché anche dopo che gli interessati avranno maturato l'età prevista per conseguire la pensione di vecchiaia la quota di pensione connessa agli scivoli contributivi, riconosciuti fino ad un massimo di cinque anni, “rimane a carico dello Stato”. Una cambiale da onorare a vita. Si fa peccato, come dice Andreotti, ma forse si indovina immaginando che tutto questo abbia qualcosa a che vedere con il trattamento più morbido riservato negli ultimi tempi da alcune importanti testate alla politica governativa.

I discutibili interventi in campo fiscale
Veniamo adesso alle misure adottate in campo fiscale, tra le quali spiccano quelle prese per accelerare l'adesione del contribuente agli accertamenti, all'insegna del “pochi maledetti e subito” – anticipando nel tempo, come se si scontasse a caro prezzo delle cambiali,  le entrate che sarebbero arrivate maggiorate in tempi successivi. Siamo di fronte ancora una volta alla politica dei condoni.
Ma l'aspetto più rilevante dei due decreti, a nostro avviso, è la diminuzione dell'impegno nella lotta all'evasione.
E' vero che, come ha osservato nel Bollettino del Cer Salvatore Tutino, le misure anti-evasione in vigore da quest'anno “interessano tutta la filiera in cui si manifesta l’attività impositiva (controllo, accertamento, contenzioso e riscossione); coinvolgono aspetti sostanziali, organizzativi e procedurali; danno vita a un mix in cui gli aspetti repressivi e sanzionatori si alternano con iniziative di semplificazione e di deterrenza finalizzate a ripristinare un clima di collaborazione fra il fisco e i contribuenti”. Ma francamente abbiamo qualche difficoltà a condividere le conclusioni che ne trae lo stesso Cer, quando afferma che “di fronte a un quadro tanto denso e complesso sembrano fuori luogo le preoccupazioni di chi denuncia un abbassamento della guardia nella lotta all’evasione. Non può, invece, escludersi aprioristicamente una qualche soluzione di continuità rispetto al passato; misurabile non tanto con il metro di una diversa tolleranza nei confronti del fenomeno evasivo, quanto in termini di diversa strategia nell’aggredirlo”.
Abbiamo difficoltà a condividere questo giudizio soprattutto perché non riusciamo a capire dove stanno i “più controlli”. In realtà questo governo, come rilevato in un precedente articolo su questa rivista, ha diligentemente smantellato tutte le misure che l'ex ministro Visco si era ingegnato ad inventare per controllare i movimenti di cassa degli operatori: dalla eliminazione della soglia massima di 5000 euro per l'utilizzo di contante e assegni  trasferibili (portata a 12.500 euro), all'eliminazione di una serie di obblighi strumentali quali la trasmissione telematica dei corrispettivi e la comunicazione dell'elenco clienti e fornitori indispensabile per effettuare i controlli incrociati tra gli operatori, fino all'abrogazione dell'obbligo per autonomi e professionisti di utilizzare un conto corrente specifico per l'attività imprenditoriale.
Abolita questa impalcatura di controlli, Tremonti aveva posto tre capisaldi al centro della sua strategia antievasione: l'accertamento tramite il redditometro, la caccia alle false residenze estere dei vip, la verifica sulle dichiarazioni delle grandi imprese da effettuare sistematicamente – prevedeva il decreto legge anticrisi – “entro l'anno successivo alla loro presentazione”. Un progresso importante, quest'ultimo, anche perché sono numerosi i casi di imprese – vedi Cirio, Parmalat – andate in fallimento, dopo anni di bilanci falsi e di tasse evase, senza che il fisco si fosse mai accorto di niente. A sorpresa però la Camera, in sede di conversione del decreto, ha fatto crollare tutto inserendo nella frase relativa al controllo da fare annualmente due semplici parole: “di norma”.  Il che, nel linguaggio burocratico, significa: “se potete fare i controlli annuali fateli, se no pazienza. Noi comunque ve l'avevamo detto”.
Caduta anche l'illusione che almeno in fatto di controlli sulle grandi imprese si facesse veramente sul serio, diventa reale – come del resto ammette lo stesso Cer – il rischio che le previsioni di gettito associate alla lotta all’evasione possano rivelarsi sovradimensionate. Infatti l'utilizzo del redditometro non può essere effettuato a livello di massa ed è ostacolato dai ricorsi dei contribuenti, mentre la ricerca dei riccastri emigrati per motivi fiscali, avviata da Visco con indubbio successo, non sembra poter continuare indefinitamente, quanti saranno mai questi Vip?  
In queste condizioni sembra problematico poter realizzare le fantasmagoriche entrate che secondo le previsioni di Tremonti dovrebbero arrivare nel triennio 2009-2011 dalle misure antievasione previste nei due decreti: quasi un miliardo di euro dai controlli tramite redditometro – ai quali si aggiungerebbero altri 600 milioni procurati dal generico “sviluppo dell'attività di controllo dell’Agenzia delle entrate” –  700 milioni raggranellati con l'adesione dei contribuenti ai processi verbali di constatazione e agli inviti a comparire, addirittura più di un miliardo e mezzo proveniente da quei controlli sulle grandi imprese che, come abbiamo visto, dovevano essere annuali e invece non lo saranno più.
Quello che è grave è che il maggior gettito di cui sono accreditate le misure antievasione (8,7 miliardi per l’insieme del triennio) rappresenta, come bene mette in evidenza il Cer, una quota crescente delle maggiori entrate complessive attese dalle due manovre: il 29% nel 2009, il 43% del 2010, addirittura il 62% nel 2011.
Tutto considerato c'è il forte rischio che si ripeta l'esperienza dei condoni di fine 2002, nei cui incassi ci sarebbe, secondo la Corte dei Conti, un buco di oltre 5 miliardi. Nei prossimi tre anni, in una situazione molto cambiata, il mancato raggiungimento delle previsioni di entrata potrebbe essere assai pericoloso.  

Uno sguardo al domani
Nonostante questi aspetti estremamente discutibili il decreto 185, visto nel suo testo definitivo, rappresenta un passo avanti, anche se limitato, nella strategia anticrisi.
L'aspetto forse più importante, a nostro avviso, è costituito dalla forte accelerazione data agli investimenti in infrastrutture, sia velocizzando le relative procedure (art. 20), sia prevedendo la possibilità di utilizzare il risparmio accantonato dai comuni “virtuosi” per investimenti di questo tipo (art. 2 ter). Mette conto di notare che dopo il nefasto periodo dei “Signor No” alla testa del dicastero dell'ambiente, che sistematicamente bloccavano qualunque investimento in grandi opere, si trattasse di centrali eoliche (perché antiestetiche) di varianti autostradali (perché nocive per l'ambiente) o di rigassificatori (perché pericolosi), il governo ha sbloccato in pochi mesi oltre venticinque valutazioni di impatto ambientale di grandi opere, alcune in attesa da più di cinque anni. Un passaggio importante per tentare di dare una spinta all'economia.

In conclusione. Sotto certi aspetti il nostro paese, nonostante le sue molte debolezze, sembra più attrezzato di altri per fronteggiare la crisi. Ma certo se questa dovesse svilupparsi nei termini catastrofici che molti prospettano il nostro orizzonte diverrebbe più buio. Sembrano ormai metabolizzate (se non minimizzate, nelle esternazioni del nostro premier)  le previsioni che danno per sicura una riduzione di 2 punti del Pil nel 2009. Ma pochi si sono spinti a considerare le conseguenze terribilmente concrete che una cifra apparentemente così astratta porta con sé. Meno 2 di Pil significa, quasi automaticamente, non meno di un milione – e forse più – di disoccupati.
Per scongiurare questo pericolo e continuare a finanziare il servizio del debito occorrono consistenti investimenti da parte dello Stato, sia verso le imprese, con aiuti diretti e  commesse per le grandi opere, sia verso le famiglie, con misure di sostegno dei redditi e di potenziamento degli ammortizzatori sociali.
Ma il reperimento di risorse nel mercato internazionale attraverso l'emissione di titoli di stato è ora più difficile per il nostro paese che deve superare – offrendo interessi più elevati – la concorrenza di altri debitori, come la Germania e la Francia, che si trovano in difficoltà pari alle nostre ma hanno bilanci molto più solidi e affidabili. Potremmo trovarci in una situazione in cui la maggiore appetibilità delle emissioni non basta ad attirare gli investitori. E aumentarla ancora, oltre a rendere l'operazione eccessivamente costosa, potrebbe essere  un segnale di una situazione arrivata ormai sul punto della ingestibilità.
E' questo forse il problema più grosso che il nostro governo ha davanti. Insieme a quello – che viene da lontano – di riuscire a superare le lungaggini di una burocrazia spesso improduttiva a causa di norme e procedure obsolete e l'inconcludenza della politica, due fattori che insieme ci stanno portando alla retroguardia tra i paesi  industrializzati.
Con l'articolo 2, comma 9, della Finanziaria 2009, il governo ha prorogato per la ventesima volta l'esenzione dalle imposte di bollo, registro, ipotecarie e catastali  delle attività per la ricostruzione degli immobili del Belice colpiti dal terremoto del 1968. Quarant'anni per  superare i postumi di un terremoto – e non è ancora finita – sono l'immagine del fallimento di un'intera classe politica e insieme un viatico poco incoraggiante per le dure prove che ci attendono.  
 

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